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ILVA, LABORATORIO DELLA NUOVA SINISTRA LABURISTA

Quindici mila operai dell'acciaieria rischiano di rimanere a breve senza lavoro in compagnia di almeno altri diecimila operai che lavorano nelle aziende dell'indotto collegate all'ex ILVA. Significa che se non si trova a breve una soluzione, e "a breve" significa in pochi giorni, circa sessantamila persone, perchè gli operai hanno famiglia, rischiano di rimanere senza mezzi di sostentamento. Il risanamento ambientale dell'azienda è fermo al palo, come pure quello di quella parte della città avvelenata dai fumi degli altiforni.

La Arcelor Mittal, secondo un comunicato stampa, ha citato lo Stato italiano per la risoluzione dell'accordo con il quale prendeva in locazione lo stabilimento di Taranto. Erroneamente si è parlato di recesso, perchè il recesso è un atto unilaterale recettizio, che non ha bisogno di ricorso al Tribunale. Non è un distinzione  formale, ma sostanziale perchè la domanda di risoluzione implica il giudizio di un tribunale emesso da una sentenza, nel caso quello di Milano, che potrebbe arrivare dopo anni. Quindi la citazione notificata dalla Alcelor Mittal  è solo una pistola puntata alle tempie del governo per ricattarlo. Al momento quindi la Alcelor Mittal è ancora legata agli impegni contrattuali assunti nel settembre 2018.

Nel settembre 2018 De Maio, trionfalmente annunciò di aver risolto la crisi delle acciaierie di Taranto in tre mesi. Oggi lo stesso personaggio, nelle nuove vesti di Ministro degli esteri per motivi prettamente elettorali ha eliminato lo  scudo penale, che faceva parte dell'accordo del settembre 2018, dando alla multinazionale indiana il pretesto per impugnare l'accordo e per chiedere il licenziamento di 5.000 esuberi, cioè persone. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato che è giunto il momento che il sistema Italia risponda con una voce sola, senza distinzioni di colore politico, al fine di salvaguardare l’interesse nazionale, non ha spiegato però in che modo, con quale progetto, con quale soluzione.

L'unico che sembra avere le idee chiare in proposito è stato il segretario generale della CGIL Maurizio Landini, il quale ha prima ricordato che l'accordo, rectius contratto, è stato sottoscritto anche dai sindacati dopo un referendum cui avevano dato parre favorevole il 90% degli operai della fabbrica. 

Landini ha ricordato  che sia la revoca dello scudo penale che i novelli giacobini dei cinque stelle si sono precipitati a eliminare, sia l'Alcelor Mittal  che chiede il licenziamento di 5.000 operai sono in contrasto con l'accordo del settembre 2018.Il Governo e Alcelor Mittal dimenticano che il sindacato è parte integrante di quell'accordo.  A ben vedere gli unici che stanno rispettando gli impegni sono gli operai, che ogni mattina si recano sul posto di lavoro per produrre acciaio, continuando ad assumere veleni e fumi concerogeni. 

Landini ha affermato in riferimento  alla richiesta della multinazionale indiana di rivedere il piano industriale “Non pensino di farlo senza di noi. Il piano industriale è stato discusso in un tavolo, e votato dagli operai dello stabilimento”. “Per questo - continua - il primo problema di credibilità che hanno le istituzioni è far rispettare quell’accordo”.

Leggendo le dichiarazioni si intuisce che Landini rivendica un ruolo nuovo del sindacato che è quello di attore dei processi industriali con un progetto politico e non solo economico e indica una strada che implica il cambiamento di ruolo del sindacato. 

Non rivendicazioni economiche, ma l'invito a lavorare insieme per ridare all'Italia il suo ruolo di paese manifatturiero in cui gli operai siano parte trainante insieme alle altre forze  sociali, governo, industriali, burocrazia, per attuare una ricostruzione sociale, economica e politica. 

Il concetto più importante che Landini ha espresso è che per attuare un progetto di reindustrializzazione è necessario avviare un progetto di democrazia industriale con la creazione di regole certe che siano il frutto di una collaborazione paritetiche fra governo, dirigenti industriali e lavoratori. 

Non si può più pensare dopo i disastri che abbiamo vissuto che i rappresentanti dei lavoratori conoscano le decisioni che li riguardano dopo che sono state prese. Se ci sono industrie che vanno nazionalizzate questo va fatto, perchè queste industrie strategiche possono salvare l'Italia, come hanno fatto diventare ricca l'Italia del dopoguerra. E' successo in altri paesi d'Europa, perchè non può succedere in Italia?

In questo quadro sicuramente l'industria privata dovrà essere aiutata specialmente per ciò che riguarda le piccole e medie imprese, per aiutarle a liberarsi dei monopoli, creando strumenti di controllo con la rappresentanza delle aziende, dello Stato, dei lavoratori.

L'autorevolezza  dell'Italia è arrivata al livello più basso dalla liberazione. L'incapacità e l'ingordigia dei governi che si sono succeduti dagli anni 90 del secolo scorso ad oggi hanno reso la nostra nazione fragile e i servizi sociali sono un lusso che non tutti possono permettersi.

Uscendo da una tradizione puramente rivendicativa il capo della CGIl ha indicato un progetto politico di ampio respiro da attuare in una situazione economicamente drammatica. 

Quella sinistra che fino ad oggi  si è accodata al carro del liberismo può liberarsi da  queste catene.

Il Governo, gli imprenditori, i lavoratori hanno ancora margini per invertire la tendenza suicida delle liberalizzazioni. L'acciaieria di Taranto può essere l'esempio virtuoso per  dare avvio a questa inversione di tendenza che veda tutti insieme le forze produttive e politiche tese a risolvere il problema. Ma non è che ci sia un tempo indefinito. Sarebbe un grave errore non percorrere fin da subito  la strada  indicata da Landini.

Gli operai di Taranto, ma non solo, aspettano che qualcuno abbia il coraggio di porre mano a questo  progetto di fondamentale importanza senza il quale ogni altra iniziativa andrà contro la volontà dei promotori e a svantaggio dell'intera collettività nazionale.

 
 

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