Il 2 settembre 1920 la Fiom torinese appena venuta a conoscenza dell'occupazione degli stabilimenti da parte delle maestranze, diramava alle Commissioni interne ed agli operai le seguenti disposizioni per il lavoro nelle officine: « Tutti gli operai devono occupare il proprio posto e continuare puntualmente il lavoro in modo che la produzione corrisponda alla paga nominale; le ore di lavoro saranno registrate come prima. Le assenze non saranno conteggiate ai fini del salario, salvo le ulteriori disposizioni, a carico degli nsaeatì, da parte dell'organizzazione nei turni di lavorazione nelle officine, saranno due di dodici ore, dalle 7 alle 19 e dalle 19 alle 7 del mattino; II lavoro normale sarà dalle 9 alle 12 e dalle 16 alle 19. Il turno di notte comincerà il lavoro alla ore 20 e fino alle 24 e dalle ore 24 alla sei del mattino.
Il lavoro gli operai dovranno riceverlo e consegnarlo come prima ai loro capì diretti o a chi ne prenderà le veci. Nei reparti dove mancasse il capo tecnico o l'impiegato amministrativo, gli operai del reparto nomineranno provvisoriamente un loro delegato a coprire tale, carica e sbrigare le funzioni a questi attribuite. Questo delegato sarà sottoposto al controllo dei commissari di reparto .
Giornalmente tutti gli incaricati dovranno riferire al Comitato di officina il funzionamento dei singoli reparti, notificare le assenze degli operai e le eventuali mancanze di materie prime. Gli operai dovranno usare il massimo rispetto alle macchine, agli utensili a loro affidati e la massima obbedienza ai dirigenti.
I commissari di reparto e le Commissioni interne dovranno sorvegliare per l'esatta applicazione delle nonne sopra stabilite ed impedire in modo assoluto l'accesso negli stabilimenti'i di bevande alcoliche. Nessuna persona estranea ai lavori se non autorizzata dalla Commissione interna, potrà entrare, nell'officina. Nessuno potrà asportare dall'officina involti od oggetti se non con l'autorizzazione scritta dal dirigente generale d'officina ». (Estratto dall'Avanti edizione Torinese)
Nei giorni drammatici della Liberazione, gli operai degli stabilimenti industriali torinesi danno luogo a quelle epiche giornate definite "le cinque giornate di Torino" e si organizzano per difendere le fabbriche dalla furia delle armate tedesche che avrebbero voluto distruggerle "Già da qualche tempo l'ufficio sabotaggio e controsabotaggio del CLN aveva preso contatto con i dirigenti e i tecnici di molte aziende per preparare la difesa degli impianti industriali e se non in tutte, in diverse si erano trovati aiuti e complicità nel lavoro di trasporto e occultamento delle armi. Ogni officina è rapidamente trasformata in fortezza....... Vi sono gli impianti delle ferrovie, delle centrali elettriche e telefoniche da difendere, i ponti sul Po e gli acquedotti da salvare, le radio, gli edifici pubblici, le caserme da conquistare" e continua "Le unità alleate entrando a Torino trovarono una città disciplinata, presidiata da 14 mila partigiani, i servizi pubblici in funzione, salve tutte le industrie, intatti i ponti le centrali elettriche e ferroviarie.
Nelle cinque giornate insurrezionali di Torino caddero combattendo nelle fabbriche e nelle strade 320 partigiani e lavoratori. La classe operaia torinese ancora una volta era stata all'avanguardia nella lotta e nel sacrificio. Le maestranze presenti alla Fiat Mirafiori durante tutte le giornate insurrezionali avevano superato il 90%, l'80% alla Spa, l'85% alla Lancia, le stesse percentuali negli altri stabilimenti." (Cronistoria del 25 aprile 1945, Feltrinelli, Milano, 1973)
Potremmo citare decine di esempi di fabbriche salvate dagli operai. L'occupazione della stabilimento di Taranto è l'unica strada per convincere Il Governo a riconsegnare la fabbrica ai Commissari, i quali dovranno elaborare un piano per il proseguimento delle attività produttive. Questo piano non potrà prescindere dalle uniche forze che hanno diritto a dire il loro pensiero e cioè gli operai, i tecnici, gli impiegati dello stabilimento ex ILVA e delle rappresentanze sindacali, i quali è bene ripeterlo sono gli unici che hanno saputo fin da subito indicare la via politica per la soluzione del problema. Nessun privato verrà mai a Taranto per risanare lo stabilimento e metterlo in funzione in una situazione economica internazionale turbolenta, nessun privato si fiderà di interlocutori inaffidabili quali sono i rappresentanti attuali del governo nè di quello che lo hanno preceduto. Pertanto al problema si dà una risposta politica oppure una risposta giudiziaria con l'intervento della magistratura che ha il potere di sequestrare l'impianto e riaffidarlo ai commissari per impedire lo spegnimento degli altiforni. Questa soluzione sarebbe la prova della sconfitta dello Stato che non riesce a garantire l'esercizio dei diritti senza un intervento autoritario della magistratura.
Beppe Sarno