Agenda Lib-LabLa politica della “fermezza e del dialogo” sull'Iran, sostenuta al Palazzo di Vetro, candida infatti la Francia di Sarkozy al ruolo di mediatore ideale tra Occidente e Medioriente nella difficile partita per la stabilizzazione dell'area, marginalizzando al contempo quei paesi che di “multilateralismo” si sono riempiti la bocca fino alla nausea, con l'unico risultato di paralizzare l'iniziativa internazionale, sia sul piano istituzionale sia su quello della diplomazia.
Le FigaroLa solida, non-negoziabile amicizia con gli Usa fa di Sarkozy l'alleato più prezioso per Washington, perché introduce un elemento di novità nella prospettiva dei rapporti trans-atlantici.
Sarkozy offre dunque all'occidente europeo l'occasione di prendere una “terza via” che ricalibri le relazioni transatlantiche, sul piano della corresponsabilità.
Si pensi all'invito lanciato alla Francia qualche mese fa, proprio dalle colonne del , da Ali Larijani, il capo del Consiglio di sicurezza iraniano. L'uomo che sovrintende alla difesa ed agli affari esteri di Teheran, sotto la diretta supervisione della Guida della rivoluzione, Ali Khamenei ha infatti auspicato un intervento della Francia nell' nucleare, come “onesto mediatore” tra l'Occidente e Iran, spingendosi fino a dichiararsi disposto ad accogliere eventuali proposte negoziali francesi.
Sarkozy offre oggi l'opportunità all'Europa di assegnarsi una parte in un nuovo assetto corale delle relazioni internazionali che, piaccia o no, è già in atto e sta solo all'Europa scegliere se esserci - e contare - o stare a guardare, lasciando che i giochi vengano condotti a livello nazionale. Sarkozy chiede cioè all'Europa di non esitare a schierarsi con l'Occidente ma al contempo di mantenersi Europa, ovvero di contribuire a quel multilateralismo così tanto invocato e mai realmente perseguito, attraverso una chiara scelta politica e valoriale.
A che serve, allora, all'Italia prodiana, isolarsi, insistendo nell'invocare l'intervento dell'Onu in chiave ideologicamente anti-Usa, quando l'Onu è ad un livello di delegittimazione tale da non valere nè come autorità nè come deterrente presso quei regimi che - dall'Iran alla Birmania - ne violano impunemente le regole?
Ma se la prosopopea paralizzante di cui Prodi si è fatto interprete all'ultima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, poteva funzionare sotto il regno di Jacques Chiarac, l'insistere su quella strada oggi – a fronte dell'evoluzione delle crisi e della comparsa sulla scena di nuovi attori e prospettive geopolitiche - significa condannare il nostro paese all'isolamento in Europa, e persino all'antagonismo con l'Occidente.
Ma come si fa a farsi paladini all'Onu della battaglia per la moratoria contro la pena di morte e poi non accennare neppure al dossier posto dallo stesso Onu, al top dell'agenda dell'Assemblea Generale? Eppure è questo che ha fatto Prodi: neanche un cenno all'Iran ed ancor meno alla posizione italiana rispetto alla violazione dei trattati internazionali sul nucleare, quando appena poche ore prima che il nostro Presidente del Consiglio prendesse la parola, il despota di Teheran infiammava il Palazzo di Vetro di invettive e minacce contro l'occidente, di cui – che a Prodi piaccia o no – l'Italia fa parte.
Ma il risultato è la perdita di credibilità e di potere negoziale, non solo con le democrazie che rispettano le regole, ma soprattutto con quei paesi che delle regole se ne infischiano.
Corriere della SeraLa domanda, evidentemente, è retorica, perché l'italia di Prodi non può permettersi di fare nulla.