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OMBRE ARMENE, INQUIETUDINI TURCHE

Perchè la Turchia si sente tradita dalla mozione della Commissione Esteri della Camera USA sul genocidio degli armeni

Fabio Lucchini

Storico alleato degli Stati Uniti, bastione anti-sovietico durante la Guerra Fredda e membro dell'Alleanza Atlantica dal 1952. Considerate le proprie credenziali, al governo di Ankara deve esser parso intollerabile che proprio dal Congresso americano arrivasse l'ennesima scomoda rilettura dello sterminio della popolazione turco-armena, avvenuto tra il 1915 ed il 1923. Infatti, Washington ha sempre rappresentato, almeno nel secondo dopoguerra, una sorta di “porto sicuro” per i governi turchi, spesso in polemica, rispetto ai temi più disparati, con i vicini europei: la genuina democraticità del sistema politico della Turchia moderna, la generalizzata opposizione all'occupazione turca di Cipro nel 1974, l'annosa questione curda. Insomma, i dissensi con i membri di quell'Unione Europea della quale la Turchia vorrebbe da decenni entrare a far parte vengono orami considerati fisiologici dalla stessa classe dirigente turca, laica o islamista che sia. Tuttavia, l'approvazione da parte della Commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti USA di una mozione che definisce genocidio il massacro perpetrato ai danni degli armeni nella fase di passaggio dall'Impero Ottomano alla Turchia moderna è stata percepita ad Ankara come una pugnalata alla schiena.

La vicenda armena rappresenta un vero e proprio tabù per le autorità turche, che, oltre a limitare fortemente il dibattito interno sull'argomento, rifiutano di discuterne anche a livello internazionale. Quegli avvenimenti, per quanto vecchi di novanta anni, non vengono considerati sufficientemente lontani nel tempo per poter essere serenamente analizzati a livello storiografico. La magistratura turca persegue attivamente i tentativi di aprire un pubblico confronto su quegli eventi, come ha imparato a sue spese il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk che ha dovuto subire una denuncia in merito. Lo scrittore e giornalista Hrant Dink, voce degli armeni di Turchia, ha dovuto pagare un prezzo ben più alto. Dopo anni di minacce ed intimidazioni è stato ucciso nel gennaio scorso da un giovane fanatico, mentre pochi giorni fa i suoi collaboratori sono stati condannati ad un anno di carcere (pena sospesa) per aver offeso la nazione, rievocando insieme a Dink il genocidio del 1915. Solo un anno fa l'approvazione di un disegno di legge della Camera del Parlamento francese, che proponeva di punire con una multa e con l'arresto chiunque negasse la realtà del genocidio armeno, causò un duro contenzioso diplomatico con Parigi.

Invece, secondo l'interpretazione prevalentemente riconosciuta il massacro di un milione e mezzo di persone, se innescato in parte dalla defezione di alcuni reparti armeni dell'esercito ottomano, può essere ricondotto alla volontà del nascente potere nazionalista dei Giovani Turchi di dar vita ad una nuova compagine statuale etnicamente compatta ed in grado di sopravvivere al crollo del potere del sultano di Istanbul.



Data: 2007-10-14







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