Antonio Landolfi. Nella storia del socialismo riformista, il concetto di giustizia ha avuto sempre l'iniziale maiuscola. Giustizia sociale, innanzitutto, com'è ovvio per chi professa le idee della solidarietà per i meno fortunati che sono tanti nel mondo. Giustizia, in una società come quella in cui viviamo dall'unità dell'Italia, un paese dove è toccato ai socialisti surrogare l'assenza di una rivoluzione liberale con le battaglie garantiste combattute da Turati, da Francesca Saverio Merlino, da Giacomo Matteotti per mettere in pratica i principi del garantismo giuridico, dall'Ottocento fino ai giorni in cui viviamo. Ed anche “Giustizia dei numeri”, cioè lotta per un equo sistema elettorale, ispirato non da mere ragioni di presenza o di potere parlamentare, ma dal concetto che è stato alla base dell'azione per realizzare il suffragio universale, contro ogni discriminazione di classe o di sesso; e contestualmente per realizzare il diritto di voto per tutti i cittadini e del mondo femminile, e la parità delle rappresentanze elettorali, che deve e può essere esclusivamente garantito dal principio della proporzionalità tra il consenso dato e dalla delega ricevuta. E' chiaro, incontestabilmente, che la “Giustizia dei numeri” è garantita esclusivamente da un metodo di votazione e di calcolo della rappresentanza che non può ferire il principio della proporzionalità, che ammette soltanto dei correttivi, e non delle alterazioni, che altrimenti si tramuterebbe in una situazione di ingiustizia tra gli elettori e gli eletti delle diverse correnti politiche, preferendo le une rispetto le altre. E condurrebbero a falsare le rappresentanze elettive, e quindi i rapporti di forza parlamentari e di governo a favore di quelle che risultassero preferenziate rispetto alle altre. Cioè ad un “vulnus” sostanziale delle regole della democrazia, e della parità di chi partecipa al voto, ed anche dei candidati. Furono queste ragioni di principio, e non di convenienza, che ispirarono fin dall'origine l'azione dei socialisti riformisti a favore del suffragio universale e coerentemente del sistema proporzionale, nella prospettiva di creare un'autentica società dei diritti:cioè una società realmente democratica. L'autorevole storica del proporzionalismo in Italia, Maria Serena Piretti in una sua opera fondamentale intitolata appunto “La Giustizia dei numeri” ha riconosciuto il ruolo d'avanguardia che svolse Turati nella lotta per realizzare insieme il suffragio universale ed insieme il sistema elettorale di tipo proporzionale. Una battaglia politica e culturale iniziata subito dopo l'unità d'Italia con la fondazione dell'Associazione per la Proporzionale e conclusasi nel 1919 con l'approvazione della legge elettorale, nella quale Turati si inserì autorevolmente fin dalla fine dell'Ottocento, per guidarla fino al suo esito vittorioso subito dopo la fine del primo conflitto mondiale.
Una percezione di straordinaria attualità viene da rileggere quanto scriveva Turati sulla “Critica Sociale” nel 1897, sostenendo a proposito di sistemi proporzionali che “l'importanza di questi sistemi non sta soltanto nel procurare che un partito abbia un rappresentante di più o di meno in Parlamento, ma nel mettere ogni partito nell'impossibilità di togliere agli altri una parte e talvolta la totalità dei rappresentanti”. Il problema di oggi come di allora è infatti di garantire la “Giustizia dei numeri” per i più deboli di fronte alla prepotenza dei più forti: una garanzia che soltanto il proporzionale può assicurare.
Ed è inoltre il proporzionale ad offrire una fotografia esatta della realtà di una società democratica e delle sue dinamiche di sviluppo, permettendo di preparare anche quelle forme di cambiamento che non debbono soffocare l'evoluzione.
La prima volta che la proporzionale fu applicata in Italia essa mise in luce che nel nostro paese le due maggiori correnti politiche erano rappresentate dal socialismo e dal cattolicesimo democratico di Don Sturzo, che prevalsero nelle elezioni del '19 e del '21. Risultati dell'applicazione della legge proporzionalistica, che non mise in crisi il paese (come invece si favoleggia da parte dei sostenitori del maggioritario) nè favorì gli avversari della democrazia. Al contrario: fu lo stravolgimento e l'abbandono del proporzionale avvenuto con la legge Acerbo che nel 1924 provocò la crisi delle libere istituzioni, e pose le premesse per la dittatura mussoliniana. Se volessimo infierire, potremmo anche ricordare che nel programma del partito nazista redatto da Hitler e Drexler nel 1920 veniva espressa una totale condanna del sistema proporzionale: del resto il dittatore venne plebiscitato con una votazione uninominale.
Queste ragioni indussero i costituenti alla scelta del proporzionale che ha permesso, all'Italia gli equilibri politici che presiedettero all'opera di ricostruzione, di rafforzamento della democrazia, di affermarsi come nazione industriale. Permise, una volta esaurita l'epoca del centrismo, di evolversi verso la formazione di un equilibrio di centro-sinistra di cui i socialisti furono protagonisti, una volta respinta la legge elettorale del 1953 ( che peraltro proponeva un sistema maggioritario piuttosto “soft”) che aveva il torto di pretendere di rigenerare un equilibrio politico ormai esaurito.
Il proporzionale da noi ha insomma assicurato stabilità ed insieme le necessarie dinamiche evolutive della democrazia.
Il proporzionale ha avuto il merito di far superare lo steccato tra cattolici e non cattolici assicurando nel contempo la laicità dello Stato ed una graduale secolarizzazione della società nazionale, facendo sì che le leggi come quelle sul divorzio, sulla riforma del diritto di famiglia, sull'aborto venissero approvate senza il rischio di guerre di religione.
Ed ha altresì anche un processo di parlamentarizzazione di ogni tipo di opposizione, di sinistra e di destra estrema che fossero, applicando il criterio di “Giustizia dei numeri”, non le ha mai ridotte a rappresentanze simboliche e frustrate, ma gradualmente elevate a soggetti politici e parlamentari reali, che venivano perciò stesso obbligate a confrontarsi e ad operare sulla base delle loro identità costitutive e programmatiche.
Perché questo è, al tirar delle somme, l'autentico aspetto pedagogico, in termini di valori democratici, che da tale sistema deriva: quello per cui ogni proposta politica, senza rinunziare al proprio impianto di valori e principi, viene inevitabilmente anche se gradualmente costretta a fare i conti con i problemi del presente e con i progetti per il futuro in termini di contenuti programmatici, se vuole raccogliere consensi non effimeri e radicarsi permanentemente nella realtà effettiva del mondo in cui opera, confrontandosi e identificandosi con ogni altra proposta con cui s'incontra o si scontra. Tutto l'opposto di sistemi bipolari, o di partiti totalizzanti, che formano necessariamente blocchi più o meno compatti, falsamente monolitici, in realtà travagliati da laceranti contraddizioni. E quindi inevitabilmente diseducati alla democrazia.