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ROVE: "I MALI DI UNA CAMPAGNA INFINITA"

USA. La sovraesposizione dei candidati ed i ritmi incalzanti della campagna presidenziale danneggiano l’intelligenza politica a tutto vantaggio della scaltrezza propagandistica

Il processo di selezione dei candidati alle presidenziali americane del 2008 non soddisfa Karl Rove, “l'Architetto” delle vittorie elettorali di George W. Bush nel 2000 e soprattutto nel 2004. Lo stratega che quattro anni or sono screditava le velleità di leadership cullate da John Kerry e trascinava al voto l'America tradizionalista filo-Bush, analizza, dalle colonne del Wall Street Journal, la competizione per la successione del suo ex cliente. Una competizione che sta per entrare nella fase cruciale, ma che, secondo Rove, è cominciata troppo presto. Praticamente, tutti i principali candidati di entrambi gli schieramenti sono ormai in lizza da una decina di mesi; ciò significa che i due candidati presidenziali arriveranno all'appuntamento di novembre con quasi due anni di campagna elettorale sulle spalle. Per non parlare delle migliaia di miglia percorse da una parte all'altra del Paese. Uno sproposito! Bill Clinton, per citare un esempio di successo, annunciò la sua candidatura un anno prima di sconfiggere Bush padre alle elezioni del 1992.

Tutto ciò rischia di risolversi in una lunga e logorante sovraesposizione per i pretendenti alla Casa Bianca, soprattutto per i più accreditati attualmente, che rischierebbero di diventare personaggi famigliari, e dunque implicitamente “vecchi”, prima ancora di aver ricevuto un singolo voto. A tutto vantaggio dei candidati outsiders, meno esposti e pronti a presentarsi come facce nuove all'elettorato. Ne sa qualcosa Hillary Clinton, da mesi considerata la candidata democratica in pectore, che sta accusando un preoccupante passaggio a vuoto nei sondaggi dopo interminabili settimane di comizi, viaggi e colpi bassi tra lei ed i suoi avversari Democrats.

La strutturazione del calendario elettorale costituisce un'altra nota dolente. Il susseguirsi di primarie e caucus (assemblee con dibattito e votazione finale per scegliere i candidati) si preannuncia quest'anno particolarmente incalzante; dall'Iowa al New Hampshire, dal Michigan alla Florida, per concludere, il 5 febbraio, con 20 primarie statali e 2 caucus, il prossimo mese sarà con ogni probabilità decisivo per designare i due candidati alla presidenza. Il 6 febbraio potremmo così già conoscere il nome dei due aspiranti alla poltrona più ambita, anche se le investiture dei due partiti verranno ufficializzate in occasione delle Conventions estive (in agosto i democratici, a settembre i repubblicani). Il tour de force di gennaio preoccupa Rove, che ammonisce sui rischi legati ad un processo di selezione dei candidati in tempi tanto compressi.

La necessità di accumulare successi nei vari Stati potrebbe spingere i candidati a concentrare la propria attenzione su slogan e promesse roboanti piuttosto che ad impegnarsi nell'elaborazione di programmi ragionati e sostenibili in materia di Sistema Sanitario Nazionale, Ambiente, Politica Estera ecc. In particolare, una serie di vittorie nei primi appuntamenti elettorali avrebbe l'effetto fisiologico di favorire le ulteriori affermazioni di un determinato candidato, generando un effetto-valanga difficile da arrestare. Il peso attribuito da un simile meccanismo agli elettori di Stati come l'Iowa ed il New Hampshire, che hanno l'onore di votare per primi, è eccessivo rispetto al loro peso reale. La visibilità conferita ai vincitori di questi primi scontri consentirà loro di avvantaggiarsi in maniera forse decisiva nei successivi, troppo ravvicinati, appuntamenti.

Il senatore Barack Obama ha recentemente ammesso di non aver ancora le idee ben chiare in tema di assistenza sanitaria nazionale, ma ha promesso un piano entro gennaio. Non ha ancora avuto il tempo di occuparsi di una questione tanto importante, soprattutto per i democratici, sommerso dai ritmi di una campagna troppo lunga ed incalzante. George Bush, durante la sua prima corsa presidenziale, diede un saggio di abilità nel conquistare il suo potenziale elettorato di riferimento puntando sul messaggio forte della “compassione”. Un tema forse indefinito, ma in grado di attirare, nel quadro di una competizione serrata, vorticosa e spesso confusa, l'attenzione ed il consenso di una larga fetta di americani che si è riconosciuta in un concetto altamente condivisibile ed intelleggibile.

Nella situazione attuale l'accuratezza programmatica rischia di non essere adeguatamente premiata, ma piuttosto penalizzata. Un più diluito processo di selezione avrebbe il vantaggio di permettere scelte maggiormente ponderate agli elettori e di consentire ai candidati di avanzare proposte articolate e meno condizionate dalla necessità di mettere fieno (elettorale) in cascina. Già dalle prossime elezioni presidenziali Rove ritiene necessaria l'introduzione di una riforma che preveda lo svolgimento delle primarie e dei caucus in pochi e determinati giorni, distribuiti su di un periodo più lungo, dall'inverno alla primavera. Riformare il sistema, insomma, per evitare che i programmi politici vengano sommersi dagli slogan pre-elettorali. Un mese di fuoco come il prossimo gennaio entusiasmerà senz'altro molti sondaggisti e politologi, ma potrebbe rivelarsi intollerabile per chi è interessato ad un processo di selezione dei candidati ordinato e genuinamente democratico.



Data: 2007-12-27







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