Un partito politico deve essere un organismo vivo nella società. Un organismo cui è affidata la responsabilità di progettare un futuro possibile, perché la politica altro non è se non idee, idee che si fanno azione. Un partito politico, dunque, non può fare a meno degli intellettuali, degli studiosi, degli esperti. Né può adagiarsi sulla contemplazione delle idee, sulla conservazione dell'apparato culturale tradizionale. Deve, al contrario, coltivare il dubbio, promuvere la riflessione eterodossa, affrontare la sfida e tradurla in strategia attiva.
Nasce qui l'idea di rupture, coltivata e realizzata da Nicolas Sarkozy.
In una lunga intervista al periodico online nonfiction.fr, la ex responsabile dell'ufficio studi dell'Ump, Emmanuelle Mignon, racconta il sarkozismo come una filosofia, più che un metodo, una filosofia che riposa su un concetto semplice, per quanto impegnativo e, al giorno d'oggi, affatto scontato: la politica ha bisogno di idee. È l'assenza di idee che la rende distante dai cittadini. Non è infatti il mondo nuovo ad aver reso la politica inessenziale. Semmai è il vuoto ideale all'interno del quale da anni galleggia la politica ad averne reso asfittica l'azione e ad aver generato il senso di frustrazione e distacco dei cittadini.
“Il Sarkozismo – spiega la Mignon – è la destra di oggi, giovane, moderna, de-complessata, che - ad esempio sul concetto di discriminazione positiva – dimostra di essere maturata, avendo scoperto nell'idea di progresso un orizzonte politicamente più interessante di quello offerto dalla conservazione.”
“Rupture” insomma non significa limitarsi ad innovare lo stile e il messaggio, ma ambire a ri-costruire il tessuto connettivo tra politica e società.
Nel ricostruire la genesi del progetto di rinnovamento realizzato da Sarkozy, l'attuale Direttrice del Gabinetto di Presidenza parte da lontano, perché è da lontano che il programma di rupture affonda le proprie radici.
Siamo a novembre del 2004, il futuro Presidente della Repubblica conquista a Chirac la leadership di un Ump smarrito nelle retrovie di una guerra più “culturale” che politica, tra vecchia e nuova guardia, ed assopito in una patologica paralisi elaborativa. È un partito senza progetto, incapace di ascoltare la società, di accoglierne le istanze e le sfide, nuove e complesse.
Sarkozy è l'uomo giusto, l'uomo nuovo. È uomo di idee, ma ancor più di azione. Sa che le idee si realizzano con l'azione, e sa che l'azione è la principale responsabilità della politica.
In un'epoca in cui la politica sembra aver rinunciato ad elaborare, prima ancora che ad agire, quello del giovane leader del partito della destra francese appare allora un progetto quanto meno ambizioso. Sarkozy pretende infatti di ricostruire la trama dell'elaborazione politica, impegnando il partito nell'analisi profonda dei temi, nella loro articolazione, e nella elaborazione di una strategia di azione che ambisca a governare non subire il divenire.
Non si tratta più di stendere un programma minimo o un manifesto di valori. Si tratta piuttosto di riscrivere il patto repubblicano, elaborare un progetto di futuro proiettandolo lungo un orizzonte ideale, filosoficamente, culturalmente, storicamente fondato.
È così che, in meno di due anni, il vecchio partito gaullista anchilosato dalla reggenza passatista di Chirac & Associati, si trasformerà in una fucina di idee, moderna e spregiudicata.
Chiamata al vertice del dipartimento “studi” del partito, la Mignon – una giovane e semi-sconosciuta collaboratrice di Sarko al Ministero dell'Interno - realizza la missione che il nuovo leader le conferisce: “avviare un dibattito di idee”, perché – spiega – per il Presidente “la politica è fatta di idee” e solo l'elaborazione di idee avrebbe potuto ri-avvicinare le persone alla politica.”
Una strategia premiante, se è vero che il più eclatante effetto-Sarkozy, durante la campagna presidenziale, è stato proprio quello di motivare i francesi, restituire loro fiducia nella partecipazione democratica e nella scelta politica. Sarkozy – insiste la Mignon - “è meravigliosamente riuscito ad imporre il dibattito anche su quei temi dei quali non si aveva più il diritto di discutere.”
Non vuole un partito blindato, non cerca yes-man: a Sarkozy interessa affermare un'idea radicale della “responsabilità politica”, e per riuscirvi ha necessità di un partito radicalmente rinnovato, nelle sue motivazioni ideali prima ancora che nel suo organigramma. L'energetico leader conservatore sa infatti che la credibilità di un progetto politico risiede nella forza delle idee che lo ispirano e nella determinazione con la quale viene perseguito, e che dunque non possa esservi tema, o idea o riflessione che possa essere considerata taboo. È questa la missione del nuovo pensatoio. Sarkozy affida così alla Mignon il compito di organizzare un grande, profondo dibattito che affronti tutti i temi. “Nessun tema è taboo – sono le consegne - nessuna proposta è taboo; tu portami tutto e poi trarrò io le conclusioni.”
Ecco, è proprio questa la prima, clamorosa rupture che Sarkozy impone alla destra: riconoscere la necessità di mutuare quello che per molti decenni è stato il “valore aggiunto” della sinistra, la sua creatività intellettuale. L'intellettuale a cui Sarkozy vuol ricorrere è libero di analizzare, riflettere, elaborare. L'intellettuale non asservito al “pensiero unico”. L'intellettuale capace di dire cose non ovvie, profonde, razionalmente stimolanti.
Ecco allora che le conferenze tematiche, organizzate già a pochi mesi dall'insediamento di Sarko al vertice dell'Ump, diverranno presto l'architrave del laboratorio di idee che rivoluzionerà il partito, il suo bagaglio filosofico, le sue prospettive elettorali.
È questo, in sostanza, il sarkozismo: “una concezione molto tradizionale e molto nobile della politica” ed un forte senso della missione. “Nicolas Sarkozy – per dirla ancora con la Mignon – ha un'idea molto alta della politica.” È l'idea che la politica abbia il compito di “inventare il futuro che si augura ai propri concittadini…e credo che in questo senso Sarko possa ben essere definito un uomo politico.”
Per Sarkozy, spiega ancora la Mignon, “un uomo politico è un uomo che ha una visione, un ideale, e che è convinto che realizzare quel ideale non sia soltanto una sua facoltà, ma il suo preciso dovere.”
Il compito che Sarkozy decide di assumersi va dunque aldilà del rinnovamento della piattaforma programmatica del vecchio Ump, va piuttosto all'obbiettivo di ricostruire il tessuto connettivo tra politica e società.
Per farlo, Sarko sa bene che non avrebbe certo senso ignorare i cambiamenti nel modo in cui la politica entra nelle case della gente, nel modo stesso in cui la politica, attraverso i partiti, entra in relazione con le persone. Non si tratta, cioè, di negare il ruolo della comunicazione di massa, della spettacolarizzazione del dibattito pubblico, dei sondaggi cui le scelte politiche sembrano talvolta essere inevitabile conseguenza. Non si tratta di negare cause ed effetti della spin-politics, ovvero del corto-circuito tra poteri mediatico e politico, che rende la politica spesso effimera, emotiva.
Sarkozy, in fondo, è lui stesso un grande manovratore dei media ma certamente non un succube della patologia sondaggista. “È vero che è molto attento ai sondaggi – conviene il “cervello esecutivo” del rinnovamento della destra francese - ma non ha mai sposato un'idea solo per assecondare le opinioni. I sondaggi – spiega, infatti, la Mignon – ci servono per capire cosa pensa la gente, non a decidere la strategia.”
L'innovazione che Sarkozy ha inteso avviare, insomma, non avrebbe potuto realizzarsi semplicemente rifacendo l'immagine ai vecchi think tank, ma solo “aprendo una fase di riflessione e di elaborazione all'interno dei partiti politici.” È in tal senso che, secondo la Mignon, il lavoro degli intellettuali è stato cruciale, ma non per questo esaustivo. È necessario – spiega ancora il Capo di Gabinetto del Presidente della Repubblica – che il loro sia un impegno continuo, che accompagni il lavoro dei ministeri, perché “è là che c'è il vero potere.”
Non si ha certo difficoltà, tuttavia, a riconoscere il nodo problematico nel rapporto tra potere e idea. “L'intellettuale – osserva la Mignon - è sempre uno “scocciatore”, è quello che riporta l'azione ai suoi principi, ai suoi obbiettivi, che critica le scorciatoie e che si trova in uno stato di sfasamento permanente rispetto sia ai tempi dell'azione politica sia ai ritmi dei media.”
E questo spaventa la politica debole, la politica che non ha fondamento nelle idee ma, appunto, nell'effimero consenso del “pubblico”.
Se non si ha timore delle idee, se non si ha timore di sottoporle a critiche perché convinti delle proprie argomentazioni, allora non si ha timore del pensiero libero e vitale, ma al contrario lo si sollecita.
È proprio qui che, secondo la Mignon, sta la differenza tra “tecnocrati” e “intellettuali”. Il tecnocrate è l'esperto completamente appiattito sul pensiero unico, incapace di elaborare alcunché di innovativo. Un conservatore per definizione. L'intellettuale, al contrario, non teme il cambiamento, né le nuove sfide.
Inutile sottolineare che, nel progetto-Sarkozy - che sorge proprio dalle ceneri del pensiero unico - non vi fosse posto per i tecnocrati.
Sarkozy ha piuttosto inteso coinvolgere pensatori di estrazione culturale diversa, che fossero tuttavia capaci di offrire un punto di vista competente e profondo sulle diverse questioni. Non si è limitato a chiedere un parere agli “esperti” di una data materia, o lusingare l'ego degli intellettuali di area, ma di accogliere gli interrogativi filosofici più insidiosi, i moniti più acuti lanciati dalle scienze sociali, e fare una sintesi tra i diversi punti di vista.
È così che l'Ump si è rigenerato. Non in virtù di un'alchimia numerica, ma attraverso una sintesi tra le diverse istanze della destra francese – liberale e repubblicana, gaullista-sociale e nazionalista. Si è trattato di elaborare una nuova codificazione ideale, un processo di analisi e sintesi che avesse il coraggio di “saccheggiare” nel patrimonio culturale altrui, valorizzare il proprio, e liberare la creatività dell'intelligenza politica francese.
Ora, è ben vero che di idee nel mondo se ne producono tante, il problema tuttavia si pone quando la politica non ha il coraggio di nutrirle al punto da trasformarle in azione.
È un rapporto sottile, infatti, quello che lega idea e azione; un rapporto complesso, quello tra intellettuali e politica. Fare a meno della riflessione intellettuale significa condannare la politica all'implosione ideale. Promuovere la riflessione libera, tuttavia, significa fare delle idee il vero terreno di confronto politico. Significa cioè restituire alla politica la responsabilità di chiamare i cittadini ad assumersi in prima persona l'onere di ragionare, e decidere. Significa proporre non una ricetta amministrativa, ma una visione di paese; non mettere il copyright su uno slogan accattivante, ma progettare l'edificio politico-sociale che si vuole abitare. Quando insomma l'allora candidato alla Presidenza lancia la sfida del “lavorare di più per guadagnare di più”, la sua non è solo una trovata retorica, ma un concetto politico centrale a tutto il progetto di modernizzazione che è impegnato a promuovere nel paese.
Un progetto radicato in un'idea di “cambiamento” che riconosce il progresso solo là dove l'orizzonte sia l'umanità. In tal senso, Sarkozy va oltre – e più in profondo – di quanto non abbia osato la “terza via” di Tony Blair.
Il sarkozismo impegna infatti la politica all'esercizio di una responsabilità che non si esaurisce nella realizzazione pratica di un codice ma che che si lascia investire dal compito di redigere un codice filosofico con cui intessere la trama della storia.