“Sarkozy? Mi piace il modo innovativo con cui affronta i problemi della Francia”. Così, in un'intervista a Paris Match, il candidato democratico alla Casa Bianca, Barack Obama dichiara il suo apprezzamento per l'hyper-président della Repubblica francese.
“Mi ha fatto visita nel mio ufficio a Washington – racconta Obama. È stato prima delle elezioni in Francia. È un uomo pieno di energia, con un grande talento. Sono stato molto colpito dal modo in cui affronta i diversi problemi del paese con una visione innovativa. Non è legato mani e piedi ad una tradizione pesante o ad un'ideologia. È un esempio che dovrebbe essere seguito da molti leader. In politica, oggi – continua il potenziale futuro Presidente degli Stati Uniti - è necessario saper guardare le cose con uno sguardo nuovo. Ho intenzione di recarmi in Francia, non appena avrò ricevuto la nomination, per incontrarlo e discutere con lui le prospettive delle relazioni franco-americane.”
Insomma, il fascino di Sarkozy sbarca anche oltre-Atlantico. Obama, infatti, non è che l'ultimo di una lunga lista di leader e personalità politiche folgorate sulla via della ”rupture”.
In Europa come in America, in Vaticano come in Medio Oriente, negli ambienti diplomatici internazionali di Sarko si apprezza su tutto il decisionismo, la spregiudicatezza dei toni e la determinazione con cui affronta i tabù culturali e le ipocrisie di un sistema che si auto-conserva perpetuando i suoi privilegi corporativi.
È per queste caratteristiche, in fondo, che è stato scelto dagli elettori francesi.
E non si può certo dire che, sin dal suo esordio alla Presidenza, Sarko abbia dato adito al sospetto che quel decisionismo e quella determinazione fossero solo fumo da campagna elettorale.
Al contrario. In meno di due mesi dall'insediamento all'Eliseo, come promesso in campagna elettorale, il Presidente aveva già varato una riforma del mercato del lavoro che, nei fatti, annichiliva l'effetto paralizzante sulla produttività delle imprese francesi provocato dalla legge sulle 35 ore. Per la Francia, una drastica inversione di rotta.
Al rientro dalla pausa estiva, il presidente dà l'affondo ad un altro bersaglio della sua politica di rupture, il regime pensionistico privilegiato dei dipendenti pubblici. È bastato che annunciasse una piattaforma di misure volte ad allineare la condizione dei burocrati a quella dei colleghi privati che la casta pubblica organizzata dai potentissimi sindacati insorgesse, paralizzando trasporti e servizi, portando in piazza impiegati e insegnanti, tramvieri e burocrati. Ma Sarkozy non ha ceduto e, con una Francia ormai al collasso, ha costretto le controparti a trovare l'accordo.
Rottura, rottura e ancora rottura. A dicembre, Sarko spiazza tutti parlando di “laicità positiva”, così gettando i semi di un dibattito pubblico che affonda al cuore dell'orgoglio laico della Repubblica.
A gennaio, un nuovo colpo all'immobilismo del sistema lo dà il Rapporto Attali, stilato dalla Commissione presieduta dall'ex consigliere di François Mitterand, istituita da Sarko per elaborare proposte per rilanciare la crescita del paese. Le 300 e passa idee suggerite dagli esperti internazionali arruolati da Attali – tra i quali il guru della concorrenza europea, il prof. Mario Monti – non sono rivoluzionarie in sé, trattandosi per lo più di misure in parte già adottate in altri paesi, Italia compresa. Si parla di liberalizzazione dei mercati protetti – dalle farmacie ai taxi – fino alla costruzione di laboratori urbani della eco-compatibilità, passando per una semplificazione delle procedure per il divorzio che renderebbe inessenziale il ricorso alla mediazione legale.
La cosa che colpisce del Rapporto Attali, insomma, non è tanto l'originalità dei contenuti quanto la vastità degli interessi organizzati presi a bersaglio. Sarkozy ha dichiarato di approvare il rapporto nella sua essenza, ma si è riservato di decidere, insieme al Governo, in merito alle singole proposte. La cautela mostrata, insolita per un temerario come lui, non deriva però dalla paura di perdere il favore delle corporazioni coinvolte, quanto dalla preoccupazione di creare adeguati contrappesi normativi ad una così vasta “americanizzazione” del sistema francese. Nel caso della Class Action, ad esempio, Sarkozy ha espresso la perplessità che una misura giusta in principio possa rivelarsi pericolosa in pratica, se implementata senza garantire alle imprese un'adeguata protezione dal rischio di abusi.
Insomma, spregiudicato si, ma con lucidità.
Sarko, oltretutto, non si è certo risparmiato neppure sulla scena internazionale. A poche settimane dal suo ingresso all'Eliseo, si aggiudicava già la partita europea del Trattato semplificato sottraendo, ad una Merkel in difficoltà diplomatiche con il revanscismo polacco, il ruolo di regista dell'accordo. Poco tempo dopo, negli States, incassava l'ambito riconoscimento di “best friend of America” con un discorso al Congresso che gli ha conquistato ammirazione e stima da entrambi i fronti dell'arena politica americana, come la recente attestazione di Obama conferma.
Si è imposto, poi, sui fronti medio-orientale e nordafricano, con una invero fallimentare iniziativa diplomatica in Libano affidata al Ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, ed una spettacolare soluzione umanitaria al caso delle infermiere bulgare, liberate dalla condanna inferta dalle autorità libiche, grazie alla salvifica mediazione dell'ex consorte, Cecilia.
Protagonista della scena mediatica, anche per il burrascoso andazzo della sua vita privata, il Capo dell'Eliseo non incarna solo un modello di leadership vincente, ma anche la cifra di una filosofia politica emancipata dalla anacronistica dicotomia destra-sinistra. È questa immagine che colpisce all'estero, soprattutto in quei paesi con un forte deficit di autorevolezza politica.
Eppure, dopo il culmine di popolarità raggiunto l'estate scorsa, Sarkozy è oggi in calo drammatico di popolarità. I sondaggi – l'ultimo pubblicato su Le Figaro, mercoledì 30 gennaio – parlano di una fiducia per il Presidente pari al 41%, 8 punti in meno rispetto al mese di dicembre. Persino il Primo Ministro, lo sbiadito François Fillon, con il suo 43% supera in popolarità il visibilissimo Sarkozy.
Ebbene, c'è da chiedersi perché.
Perché, nonostante un'azione di governo in linea con le promesse elettorali, nonostante lo slancio per quel cambiamento che i francesi gli chiedono, nonostante la coerenza con cui va declinando oggi il progetto politico proposto in campagna elettorale, perché nonostante tutto ciò, ai francesi Sarkozy piace sempre meno?
Per alcuni, la causa del declino è la stessa che ne ha consacrato il successo, l'iper-attivismo. Il protagonista, tuttavia, non sembra affatto concordare con tale chiave di lettura: “Quanti sostengono che ho avviato troppe riforme nello stesso tempo – ha dichiarato alla presentazione del rapporto Attali - io rispondo che non hanno capito niente. È proprio avviando tutte le riforme contemporaneamente che si ha la possibilità di portare a compimento il processo di cambiamento. Quello che si deve fare, piuttosto, è assegnare loro la giusta priorità.”
Ebbene, per i francesi le priorità sono chiare: il rincaro dei prezzi, la disoccupazione e il potere d'acquisto. Problemi non di facile soluzione, si converrà. Eppure, Sarkozy non si è certo sottratto dall'affrontarli. Anzi, con ambiziosa determinazione, il Presidente ha inteso proprio arrivare alle cause profonde, alle distorsioni strutturali del malessere sociale, riuscendo in alcuni casi a conseguire già dei primi risultati.
La detassazione degli straordinari, ad esempio, ha portato, nel solo mese di ottobre, a 20 milioni di ore di lavoro supplementari, che sono diventate 40 nel mese di novembre. Dati che Sarkozy definisce “eccezionali”. Nel mese di ottobre, il 40% delle imprese con più di 10 dipendenti è ricorsa all'orario straordinario. A novembre, la quota saliva al 50%. “L'idea, insomma, funziona. Ed è in questa direzione che intendo proseguire – ha dichiarato il Presidente, lo scorso 23 gennaio, innanzi all'autorevole parterre della squadra Attali.
Ciononostante, i francesi appaiono sempre meno fiduciosi. Secondo un sondaggio di Le Monde della fine di gennaio, il 68% degli intervistati non si limita alla sfiducia per il presente, ma dichiara il suo pessimismo per il futuro, dicendosi convinta cioè che le cose siano destinate a peggiorare.
Secondo il super-consigliere del Presidente, il controverso Henri Guaino, “il morale dei francesi non è buono, ma è così da trent'anni.” La crisi di popolarità di Sarkozy, dunque, non avrebbe una causa diretta né nelle riforme avviate, né in quelle progettate, né nell'esposizione mediatica che, tra dicembre e gennaio, ha trasformato Sarko in una star glamour internazionale. Non si tratterebbe insomma che di un processo fisiologico nell'opinione pubblica francese.
Rispetto alla polemica sull'affaire Carla Bruni, tuttavia, Guaino ritiene che vi sia stato accanimento da parte dei media, e liquida così la questione con una di quelle perle di saggezza che si concede solo a chi, come lui, ha il coraggio di esprimere opinioni controcorrente. “Per quanto mi riguarda - ha confessato il 28 gennaio, in un'intervista a Le Figaro – preferisco avere un presidente felice che uno depresso. Nicolas Sarkozy – continua - assolve ai propri doveri con grande senso di responsabilità e dignità.”
Guaino, tuttavia, non è certo estraneo alla questione. Al contrario, questo raffinato intellettuale cui Sarkozy affida la stesura dei discorsi presidenziali è giudicato da alcuni una figura ingombrante, se non nociva, dell'entourage presidenziale. Noto per le sue opinioni spregiudicate, su alcune questioni spinose, come la governance di EDF o la TVA, i suggerimenti di Guaino avrebbero avuto consegueze devasatanti. Sarkozy, infatti, gli ha preferito i consigli dei collaboratori più moderati, come quelli di Claude Guéant, il segretario generale dell'Eliseo, o di Emmanuelle Mignon, la sua direttrice di gabinetto.
Ma è sulla politica europea che il Presidente ha accolto in pieno la linea dello spregiudicato suggeritore. Si deve infatti a Guaino l'idea dell'Europa mediterranea, il progetto che, coinvolgendo Spagna e Italia in una partnership privilegiata con i paesi della costa africana, finirebbe con il contendere a Bruxelles la regia della politica di cooperazione con le regioni confinanti con l'Unione Europea.
In un'intervista a Le Figaro, il segretario di stato francese agli affari europei, Jean-Pierre Jouyet, denuncia il fastidio suscitato negli ambienti europei da questa iniziativa francese. Il progetto è inviso soprattutto alla Cancelliera tedesca, Angela Merkel, ed un'ostilità con la Germania finirebbe con il pregiudicare i risultati della Presidenza Ue che la Francia si accinge ad assumere nel secondo semestre di quest'anno.
Guaino, tuttavia, non sembra curarsene più di tanto. “Io non faccio diplomazia – ha osservato – faccio politica estera.”
Il cinquantenne ghost-writer del Presidente passa per un'anti-europeo per aver votato “no” sia al trattato di Maastricht sia al referendum per il trattato costituzionale, sebbene lui ami piuttosto dichiararsi un souverainiste étriqué.
La preoccupazione che il “misero sovranismo” di Guaino possa compromettere le ambizioni della imminente presidenza della Ue, tuttavia, non è peregrina. Il 21 gennaio scorso, ad esempio, il ministro dell'agricoltura, Michel Barnier, ha dovuto compiere uno sforzo diplomatico titanico per giustificare la recente polemica del Capo dello Stato contro le quote-pesca volute da Bruxelles. Una polemica evidentemente ispirata dal consigliere per gli affari europei.
Un altro cavallo di battaglia di Monsieur Guaiano è il Patto di stabilità che vincola i paesi della zona-Euro a non superare il 3% di disavanzo. Per lui, la priorità non è il “patto” ma “la riduzione del deficit, la crescita nazionale e la riduzione della disoccupazione.”
Al contrario, il primo ministro, François Fillon, e il ministro dell'economia, Christine Lagarde, sono concordi nel ritenere le norme europee un vincolo cui attenersi rispettosamente. La posizione di Sarkozy a riguardo è stata una mediazione. Appena eletto, infatti, il Presidente ha indicato nel 2012 l'obbiettivo dell'equilibrio finanziario, prospettando così la possibilità che, nell'immediato, la Francia violi il Patto, dando priorità agli investimenti nelle riforme strutturali.
Insomma, Sarkozy rischia di arrivare alla Presidenza Ue con un'Europa ostile. “La Francia – ammonisce preoccupato Jouyet – non è forte quando ostenta arroganza, non è grande quando è isolata.”
Ora, è possibile che considerazioni analoghe facciano i francesi se, come risulta dal più recente sondaggio di Le Monde, per il 49% degli intervistati il ruolo della Francia nel mondo si è indebolito.
C'è tuttavia chi sostiene che dietro il calo di popolarità vi sia la diffidenza alimentata nei cittadini dalla disaffezione per lo stile presidenziale mostrata da alcuni ministri, tra i quali si fa ormai strada la convinzione di aver una influenza piuttosto scarsa sulle decisioni del Presidente. Oltretutto, a marzo si terranno le elezioni amministrative, e i sondaggi danno le liste sostenute da socialisti, comunisti e verdi al 46%, in netto vantaggio rispetto all'Ump, fermo al 40%. Sebbene la grande maggioranza degli interrogati sostenga di esprimere un voto in considerazione solo degli aspetti locali, l'opposizione – e lo stesso partito del Presidente – sanno bene che il fronte sociale che si oppone a Sarkozy si allarga via via che questi prosegue nel suo programma di rottura. Nonostante i consensi perduti da Sarko non si traducano necessariamente in un guadagno per i socialisti, il problema per i candidati dell'Ump si pone. Non è un caso, infatti, se all'indomani della pubblicazione del rapporto Attali, l'Unione per un Movimento Popolare non abbia esitato a mostrare una certa preoccupazione, mandando a Sarkozy un invito esplicito alla cautela, quanto meno in questo ultimo mese di campagna elettorale.
Insomma, il problema di Sarkozy sarà quello di ottenere risultati significativi in tempi brevi. Per farlo, dovrà coalizzare le forze del cambiamento e neutralizzare le resistenze che potrebbero derivargli anche dal suo stesso bacino di consenso potenziale, come i giovani, le piccole imprese, i lavoratori autonomi.
Il progetto di rigenerazione nazionale dipende, inoltre, anche dalla tenuta del sistema all'enorme stress cui sarà sottoposto dall'implementazione delle riforme, e in tal senso la congiuntura economica internazionale non prospetta certo uno scenario ideale. Se le cose dovessero mettersi male, insomma, le opposizioni corporative e tecnocratiche finirebbero con il mutilare le ambizioni di Sarkozy, sia sul fronte interno sia su quello europeo, ed in tal caso l'impopolarità che oggi suona come una sfida alla sua resistenza personale, potrebbe domani imporgli l'archiviazione del progetto di rupture, per realizzare il quale occorrono non solo il coraggio e la determinazione dell'equipe governativa, non solo lo sforzo politico di tradurre in consenso anche i provvedimenti più impopolari, ma anche una cospicua quantità di risorse per neutralizzare lo choc sul sistema e le ricadute sociali delle riforme.