La Serbia che esce dal voto del 3 Febbraio, pur con scarsa convinzione, guarda ad Ovest. Il ritorno dei fantasmi nazionalisti viene respinto per un soffio, ma il rischio di forti tensioni nei Balcani permane. Il presidente serbo filo-occidentale Boris Tadic è stato rieletto alla presidenza vincendo la sfida elettorale contro il nazionalista Tomislav Nikolic, ma la sua vittoria sul filo di lana potrebbe scatenare una nuova lotta sul futuro del Paese. Tadic ha vinto con il 50,5% contro il 47,9% dei voti raccolti dal rivale, ribaltando l'esito del primo turno che lo vedeva attardato di quattro punti percentuali. L'Unione Europea ha salutato con sollievo la rielezione di Tadic, ribadendo l'impegno ad accelerare l'avvicinamento alla candidatura UE della più grande repubblica ex jugoslava. Apparentemente è una vittoria di Bruxelles ed una sconfitta per la Russia di Putin, che sarebbe diventata, in caso di affermazione di Nikolic, un partner ancor più stretto ed ingombrante di una Serbia che cerca faticosamente di liberarsi dall'ombra di Milosevic. Tuttavia, per alcuni osservatori la vittoria di stretta misura (centomila voti circa) potrebbe rendere assai ardua la governabilità del Paese alla vigilia della secessione del Kosovo, la provincia a maggioranza albanese di cui si attende nelle prossime settimane la dichiarazione di indipendenza. Dichiarazione che avrà l'appoggio dell'Occidente, ma che verrà avversata dalla Russia. Nelle presidenziali del 2004 Tadic aveva battuto Nikolic di nove punti percentuali, vittoria considerata un segno che il nazionalismo reazionario all'origine delle terribili guerre jugoslave stava diminuendo. “Non c'è vincitore stavolta", ha detto, all'agenzia Reuters, Dragoljub Zarkovic, caporedattore del settimanale d'informazione Vreme. “Sembra che Tadic possa governare per i prossimi cinque anni, ma il risultato di Nikolic è ugualmente degno di nota. Il fatto che sette anni dopo la cacciata di Slobodan Milosevic i serbi sembrino ancora equamente divisi tra l'opzione nazionalista e quella filo-occidentale è sintomatico della frattura ideologica che attraversa la società serba.” Per quanto risicato e traballante, il successo di Tadic favorirà una salutare diminuzione della tensione, che nelle ultime settimane aveva raggiunto livelli di guardia nei Balcani. Durante la campagna elettorale Tadic ha detto che, pur opponendosi all'indipendenza del Kosovo, la maggiore priorità della Serbia resta la membership europea. Una posizione più flessibile di quella espressa con veemenza da Nikolic, irremovibile nel ribadire la sovranità di Belgrado sul Kosovo. Se il capo dell'opposizione avesse vinto, le conseguenze sarebbero state destabilizzanti per gli equilibri regionali. Il 24 Gennaio scorso il premier kosovaro Hashim Thaci aveva ridato fuoco alle polveri dichiarando a Bruxelles, dopo un incontro con l'alto rappresentante della politica estera europea Javier Solana, che la proclamazione dell'indipendenza del Kosovo sarebbe stata questione di giorni. Prudentemente, Thaci ha atteso l'esito delle consultazioni serbe e non ha compiuto mosse avventate. Il risultato delle urne non può che rallegrare lui, l'Unione Europea e gli Stati Uniti. Bruxelles e Washington sono pronte a sostenere le prossime mosse indipendentiste di Pristina. Il governo Tadic, se riuscirà ad insediarsi e a mantenere una certa compattezza, capirà e si adeguerà a malincuore. Uno scenario soft semplicemente impensabile nel caso di un'affermazione di Nikolic, che avrebbe aumentato di parecchio il margine di manovra di Mosca nei Balcani. Tuttavia, anche se la strada verso l'indipendenza kosovara pare ora veramente in discesa, sarà importante che gli attori internazionali interessati alla risoluzione pacifica della vertenza accompagnino attentamente il processo. Umiliare la Serbia non è consigliabile. Le ceneri del nazionalismo non sono affatto spente. Rischiare di perdere Belgrado, ora che gli elettori serbi hanno confermato il loro tenue orientamento filo-occidentale, costituirebbe un azzardo imperdonabile.
Data: 2008-02-05
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