Lo scorso 19 febbraio la Germania ha presentato all'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA), un progetto per l'istituzione di un organismo multilaterale incaricato della produzione di uranio arricchito - Multilateral Enrichment Sactuary Project, MESP. La proposta tedesca – ufficialmente sottoposta all'Aiea nell'aprile 2006 – appare come un interessante soluzione al problema nel quale la comunità internazionale si dibatte da tempo, ovvero come conciliare il legittimo diritto degli stati aderenti al Trattato di Non Proliferazione a costruire nuovi impianti di produzione di energia nucleare garantendo, al contempo, la non proliferazione di dotazioni atomiche vietate dal diritto internazionale.
Il progetto tedesco prevede l'istituzione di un centro multilaterale di produzione nucleare - l'International Enrichment Centre – che, sotto il controllo dell'AIEA, gestirebbe il mercato energetico nucleare garantendo a quei paesi rispettosi delle norme di salvaguardia e non proliferazione il diritto a ricorrere all'acquisto dell'energia nucleare ivi prodotta.
L'accordo dovrà ritenersi aperto a tutti gli stati, senza pregiudiziali di carattere politico. In tal modo, si scoraggerebbe la corsa alla produzione autonoma di impianti di arricchimento dell'uranio, raggiungendo al contempo l'obbiettivo di non impedire – potenzialmente a nessuno - il ricorso a questa strategica fonte energetica.
Il principio guida del progetto tedesco è il diritto di ciascun paese a ricorrere all'energia nucleare per scopi pacifici. Nello stesso tempo, tuttavia, la Germania fa sua la preoccupazione per il rischio che di tale legittima prerogativa si abusi per perseguire – in violazione del Trattato di Non Proliferazione, TNP - progetti finalizzati allo sfruttamento militare delle risorse nucleari. Nella soluzione tedesca, il problema verrebbe superato offrendo a tutti l'opportunità di concorrerere ad un grande investimento multilaterale, gestito su basi commerciali, dunque “terze”, sotto il diretto controllo dell'organizzazione internazionale per l'energia atomica.
Il Centro Internazionale per l'Arricchimento avrebbe una natura giuridica privatistica regolata sulla base di un principio di sovranità multinazionale. L'impianto sarebbe ospitato nel territorio di un paese che, privo di strutture di produzione e arricchimento dell'uranio proprie – come vi sono in Germania, Francia, Russia, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti – offra un adeguato sistema infrastrutturale, buone basi logistiche, stabilità politica e risulti pienamente rispettoso del trattato di non proliferazione.
L'impianto sarebbe posto sotto la gestione di una società privata, alla quale spetterebbe il compito di definire gli accordi commerciali con i diversi paesi richiedenti. All'Aiea verrebbe riservato il controllo di una quantità di energia da destinare a quei paesi che, sottoposti ad embrago, avanzassero la richiesta di acquistare partite di energia atomica.
La società titolare dell'impianto avrebbe il diritto di decidere sulla costruzione, l'operatività e la gestione dell'impianto per l'uranio impoverito (Low Enrichment Uranium, LEU) il cui controllo verrebbe comunque esercitato dall'AIEA, alla quale spetterebbe anche il compito di vigilare affinché non vengano create le condizioni per un vantaggio competitivo sulle altre imprese private del settore nel mercato globale.
Il progetto tedesco, in realtà, non è che uno dei dossier attualmente al vaglio dell'Agenzia. In discussione vi sono infatti tuttora un piano russo, uno americano, uno giapponese ed una seria di altri progetti “minori”. La Germania, tuttavia, sembra offrire una soluzione a quei nodi lasciati invero irrisolti nelle proposte avanzate dagli altri grandi stakeholder del mercato energetico nucleare.
Il progetto russo, ad esempio, prevede la creazione di un Centro Internazionale per l'Arricchimento dell'Uranio con sede in Siberia, presso l'attuale Complesso chimico di Angarsk, dove si produce già uranio impoverito. L'idea, in tal caso, è di affiancare all'impianto già operativo una ulteriore linea di produzione controllata dall'Aiea, da destinare ai paesi che, pur aderenti al Trattato di Non Proliferazione, sono soggetti a problemi di interruzione del servizio. In tal caso, evidentemente, non vi sarebbero sufficienti garanzie per gli altri paesi abbracciati dall'ombrello multinazionale.
Attraverso l'organizzazione non governativa americana Nuclear Threat Initiative (NTI), gli Usa propongono allora l'istituzione di una banca dell'energia con una sede scelta a discrezione dell'Aiea. Il piano, che prevede l'amministrtazione da parte dell'Agenzia per l'Energia Atomica di uno stock di uranio impoverito da destinare – secondo criteri non discriminatori e non politici – ai paesi aderenti e rispettosi del TNP – ha già raccolto finanziamenti per 100 milioni di dollari, metà dei quali erogati nel settembre 2006 da Warren Buffett, advisor del NTI, e i restanti 50 milioni stanziati lo scorso dicembre dal Congresso Usa. Perché sia operativo, il progetto statunitense ha tuttavia bisogno di ulteriori 50 milioni di dollari. Anche qui, tuttavia, la cifra “nazionale” risulta un ostacolo politico troppo elevato perché il progetto trovi l'accordo delle diverse parti.
Il Giappone, infine, propone la creazione di un registro dei produttori che, amministrato dall'Aiea, monitori la capacità degli impianti gestiti dai diversi stati membri. Operativamente, l'Aiea dovrebbe intervenire solo in caso di carenze del mercato, gestendo la distribuzione secondo quote funzionali alle diverse capacità produttive. Il vizio di questa proposta sta tuttavia nel limite posto al funzionamento del sistema dalla disponibilità di tutti i paesi produttori a collaborare con l'Aiea secondo un principio di immacolata trasparenza. Insomma, sul piano globale, non si è ancora a quel livello di reciproca fiducia tra i diversi attori che invece il piano giapponese pone evidentemente come conditio sine qua non.
Rispetto ai progetti russo, americano e giapponese, la proposta tedesca ha allora il vantaggio di ipotizzare la via multilaterale non solo nella gestione o nel controllo, ma anche nella stessa produzione, ovvero di espandere le capacità produttive del sistema globale, garantendo una governance “super partes” che potrebbe, oltretutto, risultare economicamente vantaggiosa ai soggetti già presenti sul mercato, ovvero quelli dai quali alla fine dipenderanno le sorti dell'accordo.