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La società russa e il cambio al Cremlino

Chiedere benessere anche senza democrazia? In un regime non potrebbe essere altrimenti

di simona bonfante

Se la Federazione russa fosse una vera democrazia, libera e rispettosa delle regole, una democrazia liberalealla maniera occidentale, il risultato elettorale sarebbe stato diverso? Se a dettare le regole del gioco istituzionale non fosse il Kgb ma lo stato di diritto, se invece dell'oligarchia putiniana, dei suoi metodi liberticidi, della sua strategia imperiale, la tornata elettorale fosse stata una cosa seria; se i cittadini avessero avutodavvero l'opportunità di scegliere tra proposte politiche concorrenti, se i partiti di opposizione non fossero stati messifuori gioco dalla propaganda, dalla violenza, da un'informazionenegata, ebbene, se le presidenziali del 3 marzo scorso fossero stateelezioni normali, l'esito sarebbe stato davvero tanto differente?
Certo, i partiti di opposizione – i liberali dell'ex Primoministro di Putin, Mikhaïl Kassianov, ad esempio – avrebbero registrato qualche punto in più. Gli “altristi” di GerryKasparov avrebbero partecipato alle elezioni, invece di rinunciare in partenza, come hanno fatto, in un estremo atto di denuncia del regime che – nell'indifferenza dell'opinione pubblica russa e non solo – ne viola i diritti costituzionali con una violenza talmente accanita da risultare persino offensiva.

In Russia comanda Putin. Comanda il partito del Kgb. E questo è noto a tutti, in Ruissia comefuori dalla Russia. Il potere è controllato da chi si rivelanon solo fedele, ma funzionale agli obbiettivi del disegno putiniano.Che non è tuttavia volto alla mera affermazione di un potereoligarchico. Se così fosse, se la violenza e la coercizione ela limitazione delle libertà fossero quelle in voga negli annidel regime sovietico, allora probabilmente Putin non avrebbe maipotuto divenire il nuovo tzar di Russia. Sarebbe stato deposto, afuror di popolo e di apparato. Putin invece si è dato unamission che riposa nel sentire più profondo del suo popolo. Haingaggiato guerra – sconfiggendoli – agli oligarchi odiatissimidal popolo perché ritenuti i veri responsabili del crollo diquella potenza mondiale che avrebbe potuto contoinuare ad essere laRussia anche all'indomani del crollo dell'Urss. Non solo. Putin hariesumato le spoglie del paese consegnato da Eltsin all'anarchia,alla corruzione, alla marginalità politica, ed allairrilevanza economica, per farne un primattore della scena globale,il più potente decisore su una questione cruciale comel'energia.

Putin, con i suoi metodi ottocenteschi,dispotici, filosoficamente intollerabili per chiunque ritenga lalibertà il solo metro attraverso il quale giudicare lalegittimità di un potere costituito, ha dato alla grandemaggioranza dei russi quello che i russi cercavano: un benessere chesi fa via via più diffuso, l'orgoglio di appartenere ad unanazione in cui è sempre più chiaro quali siano leregole e quali le sanzioni in caso di violazione, Poco importa chequelle regole siano palesemente anti-democratiche. Come hanno scrittoun po' tutti i commentatori, in questi mesi della vigilia elettorale,la Russia che tutti ci affanniamo a definire anti-democratica èin realtà un paese in cui le libertà individuali, perla gran parte, sono garantite. Un paese, insomma, in cui non sirischia più, come ai tempi dell'Urss, di venire spiati omandati al confino per sospetto sovversivismo. In Russia si puòfare più o meno quello che si pare – si può svolgereun'attività economica in pena libertà, ad esempio, sipuò parlare male del regime, tra amici o in famiglia. Si puòaddirittura accedere all'informazione libera occidentale, si èliberi di viaggiare, di trasferirsi all'estero senza il timore disubire persecuzione per sé o la propria famiglia. Gli unici acorrere pericoli, nella Russia putiniana, sono quelli che si ostinanoa ritenere illegittimo, criminale, il sistema di potere che, dalCremlino, controlla tutti gli apparati istituzionali, pubblici,privati, economici. Sono i paladini dei principi della democrazia,della libertà, dei diritti civili. Tra di essi, i partiti diopposizione, le associazioni non governative, i giornaliindipendenti. Tutti costoro pagano a caro prezzo la nobile causaideale per la quale da anni si battono. Pagano talvolta con la vita,come è accaduto ad Anna Politovskaja. Pagano, altre volte, conqualche giorno di prigione o con l'interdizione coatta e pretestuosada parte delle autorità di polizia.

Ma se la gente non li segue, se idifensori delle libertà non riescono in realtà amietere consensi, non è solo perché il regime di Putinnega loro lo spazio minimo per esprimersi e far campagna, ma èperché non hanno da offrire nulla di alternativo alla formulasviluppata dal Cremlino nel decennio putiniano. Cosa propongono iliberali ad un paese ancora in grande maggioranza rurale? Propongonole ricette canoniche del liberalismo occidentale che, se realizzate,non avrebbero certo dato alla Russia quella forza economicarealizzata grazie alla politica monopolista della Gazprom putiniana.E quegli altri, i democratici della colazione arlecchino guidatadall'ex campione di scacchi Garry Kasparov? Beh, loro non propongonoproprio nulla. Non potrebbero proporre nulla, d'altra parte, essendonull'altro che una forza “contro”, composta da comunisti duri epuri e romantici occidentalisti.

Ora, che il 70 e passa percentoottenuto dal nuovo Presidente della Federazione russa, DmitriMedvedev, alle inutili elezioni del 3 marzo scorso, sia un dato del tutto insignificante, appare un evidente eufemismo. Voler peròritenere quelle elezioni “illegittime”, come fa l'opposizione diKasparov, significherebbe negare la realtà. I russi, anchequalora fossero andati a votare non perché costretti ma perlibera scelta, per quale ragione avrebbero dovuto preferire il“niente”, la prospettiva di un generico afflato democratico allacontinuità con un'esperienza di governo che si è sinqui dimostrata capace di dare a molti e togliere a pochi.Sintomatico, al riguardo, più ancora degli indici dipopolarità di Putin, è l'esito di un'iniziativa“provocatoria” intrapresa una settimana prima delle elezioni dalNew York Times. Il prestigioso quotidiano americano ha infattiproposto un reportage assai esplicito sul grado di democrazia dellaRussia putiniana. Lo ha pubblicato dapprima in lingua russa, sul sitodi un giornale locale, quindi con grande evidenza sull'edizioneamericana. Ebbene, vi è stata, come come auspicato, una enormereazione da parte dei lettori russi. Ma, contrariamente a quanto noioccidentali ci saremmo attesi, i commenti espressi hanno messo inevidenza che la “specificità” russa non è affattoun'invenzione del regime ma una realtà profondamente sentitadalla popolazione, anche quella più accorta e consapevole, chelegge la stampa straniera, viaggia e, ciononostante, rivendica ildiritto di affermare il proprio modo di viversi come grande potenza.

Se è possibile aggiungere uncorollario a quanto già scritto e detto da fonti ben piùautorevoli, ebbene è che forse la nuova leadership uncambiamento sostanziale potrà produrlo, e cioè che ilnuovo corso del Cremlino possa cominciare a ritenere tutto sommatoinessenziale la negazione delle libertà, ovvero mantenere lacontinuità strategica con gli obbiettivi definiti da Putin maattraverso una tattica democraticamente compatibile. In fondo, a cosaserve ancora negare ai partiti di opposizione la libertà dimanifestare fintanto che quei medesimi partiti si manterranno suposizioni ritenute irricevibili dalla maggioranza del paese?



Data: 2008-03-05







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