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VOTO FRANCESE. LA RUPTURE NON ROMPE ABBASTANZA

Il primo turno delle municipali non è stato affatto, per l’UMP, la debacle auspicata dai socialisti.

 

simona bonfante - Le comunali hanno un valore locale – si ostina a sostenere il Segretario generale dell'Ump, Patrick Devedjian, confortato dall'analisi a freddo dei dati del primo turno delle municipali di domenica scorsa che danno il partito di governo messo assai meno peggio delle previsioni della vigilia. Ma come ha riconosciuto lo stesso Presidente Sarkozy, in un'intervista rilasciata a Le Figaro, a pochi giorni delle consultazioni, il voto assume comunque un significato di cui sarebbe irresponsabile non tener conto nell'indirizzo della politica nazionale.

Il primo turno delle municipali, tuttavia, non è stato affatto, per l'UMP, la debacle auspicata dai socialisti. In corsa per queste amministrative, vi erano i Ministri “pesanti” del governo di François Fillon. Ebbene, la vittoria secca al primo turno di Laurent Wauquiez (porta-voce del governo), di Michèle Alliot-Marie (Ministro dell'Interno), di Eric Woerth (Ministro delle Finanze) e di Jean-Louis Borloo (Ministro dell'Ambiente) dimostra, insieme all'aumento dell'astensione tra le frange “popolari” che si erano mobilitate per Sarkozy alle scorse presidenziali, che rispetto alla politica nazionale, più che la rupture i francesi abbiano voluto sanzionare la timidezza mostrata sino ad ora dal Presidente nel portare a compimento il rivoluzionario cambiamento promesso meno di un anno fa.

Il primo segnale, è il successo del governo. I ministri candidati hanno vinto la sfida al primo turno. Per Sarkozy, talvolta così irrispettoso delle personalità del suo esecutivo, il successo ttenuto dai ministri e dal loro capo Fillon, è forse il primo e più cruciale dato di cui tener conto.

“È un riconoscimento al loro talento ed alla loro competenza” – ha dichiarato il Presidente a Tolone, nella prima uscita pubblica dopo il voto. “Gli elettori – ha riconosciuto Sarko – hanno dato all'esecutivo fiducia per l'impegno con cui si stanno portando avanti le difficili riforme in cui è impegnato il governo.”

La politica della rottura è un gioco di squadra. In fondo, è questa la principale lezione appresa da un Presidente evidentemente talmente poco abituato alla condivisione delle responsabilità da aver assunto il mandato come una sorta di contratto privato, tra lui e gli elettori. Un errore tattico, questo di Sarko, che è costato non solo in termini di popolarità del Presidente, ma anche di tenuta della stessa maggioranza.

Con buona pace dell'opposizione, tuttavia, la confusione generata nell'Ump dall'ingombrante – e non sempre opportuno - protagonismo del Capo di Stato non si è affatto tradotta in un risorgere dei socialisti. Nel primo turno delle municipali, infatti, il Ps avanza, ma quello dei socialisti non è che un progresso fisiologico, legato agli errori commessi dall'Ump a livello locale, oltre che alla maldestra gestione delle candidature di cui – questo si – Sarkozy è tra i principali responsabili (si veda il caso Neully). Il Ps ha cavalcato il malcontento per un cambiamento che il Presidente aveva promesso essere radicale e tempestivo e che invece ancora tarda ad arrivare. Il Ps ha poi avuto gioco facile nel trasformare gli errori tattici commessi da Sarkozy – ad esempio, la gratuita e penalizzante sovra-esposizione mediatica delle vicende private - per orientare l'attenzione dell'elettorato sul personaggio piuttosto che sull'azione politica.

Ma il Ps del segretario Hollande non è un partito con una piattaforma chiaramente definita, ma una confluenza di correnti che si agitano “contro” il corso sarkozista, che ne ha già minacciato la portata, sottraendovi la forza propulsiva rappresentata dall'avanguardia riformista.

L'apertura ai socialisti eterodossi – la grande intuizione del Presidente – rimane l'asse portante della filosofia di governo. La leva attraverso cui rompere il sistema dei privilegi corporativi, delle ideologie conservatrici che impediscono alla Francia produttiva e non protetta di esprimere il proprio potenziale.

Quell'apertura, che è culturale prima ancora che strategica, è la chiave con cui spalancare al paese la porta del cambiamento. Un cambiamento che Sarkozy ha annunciato in dettaglio sin dalla campagna presidenziale, rendendo evidente all'elettorato quale portata rivoluzionaria quella politica avrebbe avuto per consegnare al paese la prospettiva di un ruolo da primattore nello scenario globale. Ed è questo che i francesi hanno votato.

I francesi non hanno avuto timore della disinvoltura istituzionale di questo uomo politico che ha avuto il coraggio di sfidare i “poteri forti” quando quei poteri si chiamavano Chiarc e Villepin, ed erano incarnati nei ruoli del Presidente della Repubblica e del suo fedelissimo Primo Ministro.

I francesi, votando Sarkozy, hanno scelto un Presidente che rompesse la prassi cerimoniosa di un establishment monarchico abituato a mostrare in pubblico un coté ben diverso da quello praticato in una gestione semi-privatistica del potere.

Votando Sarkozy, i francesi hanno scelto il cambiamento radicale, anche nella forma della governance istituzionale. Hanno scelto una politica disinibita, senza complessi di inferiorità rispetto alla tradizione egemonica della sinistra e della destra gaullista. ormai adagiata sul conservatorismo delle elite.

La sanzione a Sarko, anticipata dal precipitare della popolarità del Presidente, suona oggi un richiamo a “rompere” di più, con maggiore determinazione. A rompere con la sostanza e non solo la forma. A rompere, come promesso e inizialmente praticato, con il vecchiume che cristallizza il sistema perpetuandone le ingiustizie sociali.

Il Sarkozy che i francesi hanno voluto all'Eliseo non è il Presidente che si lascia intimorire dalle corporazioni dei taxisti, dei dipendenti pubblici, dei farmacisti - che ovviamente si oppongono alla messa in mora dei privilegi consolidati nei decenni repubblicani. È il Sarkozy che scompone il sistema per ricomporlo, in un nuovo equilibro più giusto, equo ed efficiente. Un compito, questo, che il Presidente ha il dovere di portare a compimento nei cinque anni del suo primo mandato, realizzando le riforme nel modo in cui è sua profonda convinzione debba esser fatto per realizzare il progetto di modernizzazione di cui la Francia ha bisogno. Dalla sua, c'è il conforto non di un ristretto circolo di fedelissimi, ma di una squadra di esperti politicamente indipendenti, di cui Jacques Attali, l'ex braccio-destro di François Mitterand, messo da Sarkozy alla presidenza della commissione sulla crescita, rappresenta ormai una bandiera che il Presidente non può permettersi di ammainare.

Su Sarkozy grava la responsabilità di gestire il cambiamento, che non è mai indolore. Spetta a lui evitare che la rottura si risolva in una terra bruciata, in un tutti-contro-uno che insieme alle ambizioni personali del Presidente, vedrebbe capitolare inevitabilmente anche le speranze di realizzare quella modernizzazione post-ideologica da lui stesso perseguita.

A Sarkozy, il coraggio non manca. Ebbene, è il momento di mostrarlo, questo coraggio. Di mostrarlo ai francesi prima ancora che alle corporazioni organizzate. Quello che forse Sarkozy deve tornare a capire è che il valore della trasparenza non si realizza offrendo in pasto alla stampa vicende private di cui la Francia avrebbe francamente fatto volentieri a meno, ma coinvolgendo i francesi nelle decisioni, spiegando loro le ragioni del cambiamento, investendo nello spiegare che “rompere” significa dare opportunità a tutti quelli che nel sistema attuale non potranno averle mai.

Insomma, da Sarkozy i francesi si attendono che faccia il Sarkozy.



Data: 2008-03-11







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