Sarkozy vuole ridare alla Francia un ruolo militare nella Nato. Questo può significare due cose: allinearla, in posizione di sudditanza, agli Usa, che detengono un'egemonia assoluta tra i partner dell'Alleanza Atlantica; oppure il suo contrario, ovvero contendere agli Usa l'egemonia politica in Europa. Apparentemente, la strategia neo-atlantica di Sarkozy può risultare ambigua. A Bucarest, dove si svolge un vertice cruciale alle sorti della Nato, la Francia si oppone alla politica di americanizzazione dell'est europeo perseguito dal presidente uscente, George W. Bush, esprimendosi contro l'ingresso di Georgia e Ucraina nell'Alleanza Atlantica. Ovvero ponendosi contro gli Usa e a fianco della Russia. Una posizione preoccupante - come hanno sostenuto André Glucksmann e Bernarde Herny-Levi, in un appello al Presidente apparso il primo aprile su Le Monde, alla vigilia del vertice Nato. Cedere alla real politik, ovvero ingaggiare un rapporto complice con la Russia per evitare ritorsioni sul fronte delle forniture energetiche, non è solo un compromesso “eticamente” difficile da accettare per chi pone la democrazia ed i suoi valori non negoziabili, al centro della propria visione tra bene e male, ma sarebbe anche un passo falso che finirebbe col provocare l'effetto opposto a quello sperato, ovvero rafforzare l'arroganza russa invece di depotenziarla a cospetto dell'Europa e del mondo. Una politica estera compromissoria sul fronte dei principi, insomma, finisce con il tradursi in una politica estera irrilevante. Opporsi all'ingresso di Georgia e Ucraina nella Nato, dunque, andare contro il principio atlantista del sostegno ai processi di democratizzazione, ovunque essi si compiano, per scongiurare il rischio di un inasprimento dei rapporti con la Russia, è - secondo Glucksman e Levi – una posizione perdente, destinata a confinare la Francia nelle retrovie dell'ambiguità politica internazionale dove si era ritagliata un posto d'onore durante il regno di Jacques Chirac. Contemporaneamente, però, Sarkozy decide di rafforzare il contingente francese in Afghanistan, inviando truppe pronte ad intervenire a fianco delle forze Nato, nella guerra mai vinta contro i talebani. Una mossa, questa, che dà la prova che l'impegno che la Francia intende assumere nella Nato è legato alla volontà di rompere con la gestione americano-centrica dell'iniziativa militare. L'iniziativa di Sarkozy, tuttavia, suscitando il plauso degli Usa, provoca un problema politico interno alla maggioranza di governo: l'opposizione socialista, infatti, si leva in parlamento contro il rafforzamento dell'impegno militare francese in seno alle truppe Nato in Afghanistan, un atto che, a loro dire, allineerebbe la Francia agli Usa, facendo perdere la tradizionale autonomia garantita nei decenni dalla decisione del Generale De Gaulle di far sottrarre il paese all'egemonia militare statunitense.
Questa tesi, tuttavia, non regge. Se Sarkozy avesse semplicemente deciso la via dell'allineamento atlantico, sarebbe stato, con gli Usa, per l'avvio della procedura di iscrizione delle due filo-occidentalissime ex repubbliche sovietiche nella Nato. Non foss'altro perché è questa la partita sulla quale Bush ha scommesso di guadagnare alla sua presidenza una vittoria geopolitica storica. Il Presidente francese, invece, sembra voler suggerire una soluzione nuova: nella Nato ma non necessariamente con gli Usa. In una Nato diversa da quella egemonizzata dalla potenza militare americana. Una Nato in cui l'Europa, attraverso la Francia e la Germania, torna ad essere militarmente rilevante al punto da potersi permettere una strategia di sicurezza non vincolata al copyright statunitense.
In questo senso, Sarkozy sta giocando una partita rischiosa. Scegliendo di contrastare Bush a Bucarest, riconosce la legittimità della posizione sin qui assunta dalla Russia nella sua opposizione all'ingresso di Georgia e Ucraina nell'area di influenza americana, al contempo, compromettendo il piano americano per la costruzione di uno scudo nucleare “anti Iran”, con basi in Polonia e Repubblica Ceca. Un piano al quale la Russia si oppone con esplicita determinazione, e non senza ragione. I missili americani, infatti, potrebbero colpire il territorio russo, così creando una minaccia “unilaterale” che i russi evidentemente non sono affatto felici di dover subire. Se è vero che più che minacciare e fare la voce grossa, i russi hanno poche possibilità concrete per impedire agli Usa di procedere con il piano di militarizzazione occidentale degli avanposti europei dell'ex impero sovietico, è vero anche che una sfida frontale Usa-Russia rischierebbe di mettere l'Europa in una posizione di grande difficoltà. L'idea di Sarkozy di smarcare l'Europa dagli Usa, senza con ciò derogare al dovere di sostenerne l'azione nella comune lotta per la democrazia e contro il terrorismo islamista, potrebbe in realtà avere un effetto distensivo più efficace di quello dissuasivo cercato dagli Usa nella loro sfida all'ambizione geopolitica russa.
Se gli Usa si insediassero in Polonia e Repubblica Ceca con le loro basi anti-missile, intese come centrali della difesa europea contro la minaccia iraniana, la Russia non potrebbe che munirsi a sua volta di strumenti di deterrenza adeguati. L'Europa si troverebbe così teatro di una guerra “tiepida” che rischierebbe di frammentarla sulla scorta di valutazioni ideologiche, strategiche, economiche, in una fase in cui gli assetti geopolitici del dopo guerra fredda si rivelano così vulnerabili – vedi il Kosovo – e la tenuta politica delle istituzioni europee piuttosto vulnerabile. L'idea di Sarkozy potrebbe dunque rivelarsi cruciale ad impedire tale frammentazione. La Germania, ad esempio, condivide la preoccupazione francese di ingaggiare con la Russia una politica di scontro frontale. Si tratta certamente di tutelare l'interesse nazionale dei due paesi, attraverso la garanzia delle forniture energetiche russe. Ma si tratta anche di definire una strategia di politica internazionale che non destini la Russia ad un ruolo che la Russia ha dimostrato non sentire affatto suo, quello dello sconfitto della guerra ideologica conclusa con la caduta del muro di Berlino. La Russia, che piaccia o no, ha saputo ricostruirsi una prospettiva egemonica diversa, ma non meno incisiva, di quella giocata dall'ex Urss. Per certi versi, una prospettiva persino più insidiosa, a giudicare dalla spregiudicata politica delle alleanze disegnata da Wladimir Putin, con l'Iran e la Cina. Sarkozy vuole iniettare un po' di pragmatismo nella strategia atlantica gestita, per conto della Nato, dalle due amministrazioni Bush. L'obbiettivo è rafforzare l'Alleanza, spostandone il baricentro un po' più sul coté europeo e così facilitando l'apertura ad Est, non imponendola come un arruolamento di questo o quel paese all'interno di un fronte subordinato nei fatti alla potenza americana.Sarkozy insomma vuole distribuire nuove carte sul tavolo da gioco, invece di rimanere incartato nel gioco costruito da chi ha governato sino ad ora la politica atlantica.
La mossa è rischiosa, come si vede. Il rischio maggiore è che la strategia si riveli perdente sia sul fronte interno, sia su quello internazionale. Ma se la regia francese si rivelasse solida, a Bucarest si potrebbe avere una vittoria di tutti, piuttosto che la sconfitta di molti. Si potrebbe avere una Nato rafforzata dal ritorno della Francia all'impegno militare, una Russia risparmiata dall'umiliazione delle basi americane puntate contro i propri confini, un'Europa tornata al centro dell'interesse geopolitico internazionale ed un'America meno sola, più vicina all'Europa e dunque con un'influenza rafforzata sul piano diplomatico.
Data: 2008-04-02
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