Un fulmine a ciel sereno e anche uno scandalo. Così è apparso ai commentatori della stampa italiana il risultato del referendum svoltosi in Irlanda nei giorni scorsi, nel quale il 53% dei votanti ha respinto la ratifica del trattato di Lisbona.“Ma come?” – è stata la reazione di quasi tutti gli analisti dei grandi quotidiani. Respinge l'ulteriore passo verso l'integrazione europea proprio un Paese che grazie ai finanziamenti della EU è uscito in pochi anni da una situazione di povertà e in un certo senso, relativamente agli standard occidentali, sottosviluppo? Come hanno osato, proprio loro?Certo il fatto che la Repubblica d'Irlanda si sia espressa, sia pure con una maggioranza risicata, contro la ratifica del nuovo trattato europeo non è una buona notizia.Ma, guardando con più attenzione, il risultato non era poi così imprevedibile.Specie per chi si avvede dello scarso “appeal” che il processo di integrazione europea, che appare ormai così distante o per addetti ai lavori, eserciti negli ultimi anni sui popoli del continente e, ancor più, per chi conosce la situazione dell'Eire e la psicologia profonda degli irlandesi. In primo luogo il fatto che l'Irlanda sia passata in un quindicennio da essere un Paese depresso, economicamente stagnante e con un alto tasso di emigrazione (fenomeno più che secolare nell'Isola) alla condizione di “tigre celtica” con tassi di sviluppo che non hanno avuto nulla da invidiare a quelli cinesi, alla piena occupazione e al boom delle esportazioni e degli investimenti, non è dipeso poi così tanto dai fondi dell'Unione Europea quanto dalla coraggiosissima e vincente politica fiscale adottata all'inizio degli anni novanta, con aliquote che possono arrivare, verso il basso, anche al 10% del reddito e con agevolazioni fiscali, tariffarie e previdenziali per le imprese, che hanno fatto spostare verso Dublino migliaia di società finanziarie, di aziende ad alta tecnologia e una parte rilevante della chimica, delle telecomunicazioni e della produzione di computer del continente. In secondo luogo va considerato che l'allargamento verso est, probabilmente doveroso per ragioni storiche, politiche e sociali, è stato molto, forse troppo rapido e ha causato flussi migratori che, se possono essere visti con una certa preoccupazione in Paesi di cinquanta-sessanta milioni di persone come la Francia o l'Italia, possono causare un vero e proprio allarme in un Paese di circa quattro milioni di cittadini. Ma la ragione più profonda della bocciatura, quella che secondo noi nessuno ha colto, va cercata nell'anima più profonda della millenaria tradizione irlandese.L'Irlanda è dai tempi lontanissimi di San Patrizio un faro di cristianità e non solo per l'Europa nord-occidentale ma per tutto il continente (basti pensare ai luoghi nei quali si ritrovano le abbazie dei monaci irlandesi; dall'Emilia al baltico e dalla Spagna atlantica al Mar Nero). La fedeltà ai valori del Cristianesimo e la fedeltà alla tradizione cattolica è un elemento identitario fondamentale per gli irlandesi che, pur di non abbandonare la propria strada, hanno subito secoli di persecuzioni e discriminazioni. L'idea di Europa che è emersa nell'ultimo decennio, così asettica e burocratica, moderna certo, e politicamente corretta, ma così arida da vergognarsi di citare, almeno nella propria carta dei valori, un riferimento alle proprie comuni origini cristiane è un “prodotto” che non può suscitare particolare entusiasmo in un Paese legato tenacemente alle proprie tradizioni e alla propria fede.
Data: 2008-06-17
|