Gabriele Cazzulini, l'Occidentale, 16 ottobre,
Il processo che si aperto ieri a Mosca per giudicare i presunti esecutori dell'omicidio della giornalista Anna Politkovskaya è un capolavoro di ambiguità. Uno specchio della drammatica situazione in cui versa la giustizia russa. Davanti alla corte militare sono finiti quattro imputati: tre di loro sono dei giovani fratelli ceceni con vari precedenti penali per sequestro di persona. Solo uno è considerato l'esecutore materiale del delitto, ma prima dell'ordine di cattura è fuggito all'estero ed è tuttora latitante.
I tre sono i nipoti di Lom-Ali Gaitukaev, un protagonista delle faide cecene. Secondo l'inchiesta, Gaitukaev avrebbe cercato e ottenuto l'indirizzo di casa della Politkovskaya da un colonnello dell'FSB, Pavel Ryaguzov – anch'egli coinvolto nel processo ma con un'incriminazione più leggera. Attualmente Gaitukaev sconta 13 anni di carcere per il tentato omicidio del manager di un gruppo industriale ucraino. Il quarto imputato è Sergey Khadzhikurbanov, ex ufficiale della squadra anti-crimine di Mosca. Anche lui nel periodo del delitto scontava una precedente condanna per depistaggio.
Nonostante la fragilità delle prove raccolte, il processo si apre racchiudendo il delitto Politkovskaya nel quadro della questione cecena. Eppure questa pista capovolge l'interpretazione iniziale dei fatti, quando le autorità avevano sposato il teorema del delitto teso a destabilizzare la Russia per gettare discredito sulla leadership di Putin. Il delitto Politkovskaya era stato inserito in una serie di omicidi eccellenti come quello Litvinenko, l'agente dell'FSB avvelenato con il polonio nel 2006 dopo aver accusato i suoi superiori dell'assassinio del milionario Boris Berezovskij. In questa prospettiva i killer della giornalista erano i capi mafia ceceni e i mandanti gli oligarchi rifugiati all'estero che pensavano di incastrare Putin.
L'inchiesta ha abbandonato questa pista lasciando irrisolte molte e pesanti coincidenze. In primo luogo i contatti. Litvinenko era un informatore della Politkovskaya e aveva avvisato la giornalista sul gravissimo pericolo che stava correndo scrivendo le sue inchieste. Poi ci sono una serie di date altrettanto inquietanti. La Politkovskaya viene uccisa nel giorno del compleanno di Putin. Una settimana dopo la morte della giornalista, Litvinenko accusa il Cremlino dell'assassinio e poco dopo muore misteriosamente a Londra. Montatura? Complotto? L'impressione è che il processo in corso non farà luce su questi fatti.
Ci sono altre coincidenze sospette. Alla fine di settembre sono affiorate ramificazioni che portano al cuore di Mosca, esattamente a Ruslan Yamadaev, fratello di Samil, il capo di una delle più agguerrite e sanguinarie milizie cecene filo-russe. I due fratelli sono nemici mortali dell'attuale presidente Ramzan Kadyrov, l'uomo forte di Putin in Cecenia. La Politkovskaya, Litvinenko, Ruslan Yamadaev e molti altri: a quanto pare in Russia chi sfida il potere viene tolto di mezzo.
Il processo nasce mutilato. L'unica certezza è che si tratta di un omicidio su commissione ma non si riesce proprio a individuarne il mandante. Non servirà a molto condannare un sicario che non sapeva neppure chi fosse la sua vittima se resterà impunita la mente che ha pianificato il delitto. La giustizia russa dovrebbe andare oltre la mano di un giovane trentenne che ha freddato con quattro colpi di pistola una donna di 48 anni che saliva in ascensore con le borse della spesa sotto il braccio.
Il colpevole dovrebbe essere cercato al di fuori della cerchia degli oligarchi o dei ceceni, ma indagare nelle stanze del potere postsovietico è sempre pericoloso: dal di fuori il Cremlino sembra un monolite, ma al suo interno è un Palazzo fatto di mille corridoi e stanze segrete. Almeno era questa la tesi della Politkovskaya: la democrazia russa era fallita, è un grumo di poteri che si muovono autonomanete, tra apparati statali, economici e militari, in una tensione continua che sfocia spesso nel sangue. Addentrarsi in questi meandri significa lanciare una sfida all'intero sistema e magari lasciarci le penne. Una singola corte militare non ha la forza di affrontare e sconfiggere questo moloch.
Non resta che appellarsi alle iniziative civili anche se il clima non è dei migliori. A San Pietroburgo le autorità hanno addirittura proibito la commemorazione della giornalista uccisa, adducendo scuse così banali da suonare offensive. Rimosso l'imbarazzante divieto, la polizia ha comunque filmato tutti i manifestanti presenti. La partecipazione civile, le proteste in nome della libertà di espressione, una critica ragionata del sistema politico, furono i principi alla base del giornalismo di Anna Politkovskaya. Dopo la sua morte continuano a far tremare l'impero di Putin.