(s.b.) A luglio nasce l'Unione per il Mediterraneo; ad agosto è l'armistizio russo-georgiano; a settembre passano le nuove regole sull'immigrazione, il mega-piano di salvataggio della finanza europea e si ha l'ok dei grandi del pianeta per un'impresa epica ed inedita come la scrittura delle regole del capitalismo globale. È il bilancio, ancora parziale, del semestre francese di Presidenza del Consiglio europeo. Non male!
Non male davvero per un istituto come la “presidenza di turno” che neanche a Tony Blair era riuscito di rendere sensato, efficace, minimamente in grado di fare la differenza.Non male per una Presidenza che esordisce con il no irlandese al Trattato di Lisbona, no che la costringe in un limbo istituzionale che, a seconda della prospettiva, fa di Sarkozy l'ultimo dei presidenti del vecchio ordinamento o il primo del sistema disegnato a Lisbona. Non male, insomma, per una presidenza nata sotto i medesimi auspici di quelle che l'hanno preceduta nell'esercizio della paralisi istituzionale.
Prendendo le redini della Ue ante-riforma, Sarkozy avrebbe dovuto limitarsi a traghettare i 27 da Nizza a Lisbona. A dicembre, nel vertice tradizionalmente dedicato al bilancio del semestre appena passato, Sarko avrebbe dovuto limitarsi a passare le consegne alla Repubblica Ceca, sperando che le ambiziose missioni scritte a giugno nell'agenda francese – immigrazione, sicurezza energetica, ambiente – potessero dirsi almeno parzialmente “accomplished”. Sarkozy, insomma, avrebbe dovuto governare la continuità, il “business as usual”.
Ed invece c'è stata la crisi - geopolitica, finanziaria, economica. E Sarkozy non ha perso neanche un secondo a interrogarsi se, nelle sue funzioni di Presidente a tempo del Consiglio europeo, avesse o no la prerogativa di prendere un'iniziativa di politica internazionale, convocare un organismo istituzionalmente spurio come il G4 degli europei o azzardarsi fino a indire un summit dei Capi di Stato dell'eurogruppo, una roba mai vista prima. Sarkozy l'ha fatto e basta. Ha agito da Presidente senza averne le prerogative, perché il Trattato di Nizza che norma le istituzioni europee fino al 31 dicembre 2008 non affida al presidente di turno il compito di decidere e la responsabilità di prendere l'iniziativa. Decisione e responsabilità sono piuttosto le prerogative che il Trattato di Lisbona – che dovrebbe entrare in vigore il 1 gennaio 2009 - affida alla nuova figura di “Presidente dell'Europa”. Il quale, con un mandato biennale, avrà la regia della politica europea, ovvero l'indirizzo di quelle policy a carattere sopranazionale che oggi nessuna istituzione comune ha il potere di realizzare.Quel Presidente però oggi non c'è ancora. O meglio, non c'è ancora sulla carta.
Per intenderci, Sarkozy ha presieduto l'Europa come se Lisbona fosse già operativo. È stato un vero Presidente: ha assunto l'iniziativa, ha deciso, ha agito, ha persino avviato una riflessione epocale per la storia d'Europa - la governance economica, il rapporto con la Bce, il ruolo della Ue nello scacchiere finanziario ed economico continentale – e il risultato è che oggi tutti plaudono al ritorno in vita della grande Unione europea.
Neppure i più intransigenti difensori del diritto comunitario, i più ostinati oppositori della filosofia sarkozista hanno avuto niente da ridire. Nella seduta del 22 ottobre, a Strasburgo, il Parlamento europeo tutto – dal leader degli euro-verdi, Cohn Bendit, al capo dei socialisti, Schultz, al Presidente Poettering – si è mostrato unito nel riconoscere i successi di Sarkozy, nel metodo oltre che nel merito.
E Sarkozy non si è limitato ad incassare. Ha rilanciato fino a mettere sul piatto l'ambiziosa proposta di “riflettere sulla opportunità di creare dei fondi sovrani nazionali”, da coordinarsi a livello europeo per “dare una risposta industriale alla crisi”, di riflettere dunque sull'idea di un “governo economico” della zona euro che renda il ruolo dell'Europa più simile a quello giocato nelle ultime settimane che a quello degli anni precedenti, dal 2004 in poi.
Una proposta, quella della governance comune e dei fondi sovrani che – spiegherà poco dopo Sarkozy in conferenza stampa – nasce spontaneamente dall'aver visto con quale efficacia e tempestività l'Europa abbia saputo rispondere alla crisi finanziaria semplicemente quando ha fatto leva sulle istituzioni invece di esserne piegata, ed ha preso un'iniziativa, inedita, come la convocazione di un summit tra capi di stato e di governo dei paesi della moneta unica che non era mai stato pensato in precedenza (le riunioni dell'eurogruppo sono sempre state fatte solo a livello di Ministri delle Finanze).
Le reazioni all'intervento del Presidente del Consiglio europeo sono state contrastanti, ostili per lo più e, in gran parte, scarsamente argomentate. Un primo risultato però l'hanno già ottenuto: nessuno parla più di istituzioni ma di governance, non più di architettura ma di contenuto. Un passo avanti enorme.Rimangono le obiezioni.I tedeschi accusano Sarkozy di voler curare gli interessi della Francia, per le cui aziende il Presidente ha predisposto un piano di supporto – annunciato il 24 ottobre ad Annecy – che prevede guarda caso l'istituzione di un fondo sovrano destinato ad alimentare i settori strategici dell'industria nazionale. Un'operazione che evidentemente impone una radicale flessibilità delle regole europee sulla legittimità degli aiuti di stato. Sempre i tedeschi, poi, accusano il Presidente francese di volere aprire un dibattito sulla governance europea – sul governo politico, non solo economico – che aprirebbe la strada ad una vera competizione tra modelli tecnocratico e presidenziale. Eventualità, secondo i tedeschi, da scongiurare.
Ma Sarkozy, in realtà, fa un discorso pragmatico. Dice: c'è stata la crisi russo-georgiana e in 4 giorni abbiamo avuto il cessate il fuoco.C'è stata la crisi finanziaria e, in poche ore, in due soli incontri si sono decisi i principi e le risorse per l'intervento che hanno salvato la finanza europea, suggerito la ricetta per il salvataggio di quella americana, ed aperto la strada ad una rifondazione del mercato. Tutto questo, osserva il Presidente, è stato possibile perché si sono trasgredite le prassi, si è pensato all'obbiettivo, non alla pertinenza formale del processo, si sono costretti i decisori a decidere, li si è costretti ad uscire allo scoperto, e si è provato che le istituzioni sono una scusa, perché quello che serve all'Europa non sono traguardi ambigui ma leadership e volontà politica.
In pratica la presidenza francese ha trasformato l'Europa più in profondo, con meno traumi e più speditamente di quanto non abbiano fatto la Convenzione, i referendum costituzionali e l'ultimo sfortunato Trattato, firmato a Lisbona sei mesi fa. Sarkozy è stato più fortunato di Tony Blair. Perché le crisi bellico-finanziarie di questi mesi gli hanno offerto un'occasione straordinaria per riformare la governance europea, un'occasione che a suo tempo al leader britannico, ormai quasi a fine mandato, non si era presentata.
Quanto profonda e quanto irreversibile sia la trasformazione “soft” compiuta dalla Presidenza francese è lo stesso Sarkozy a suggerirlo. Quando è scoppiata la crisi russo-georgiana – ha osservato innanzi ai parlamentari europei - era il 7 agosto. L'Europa, ad agosto, è in ferie. Non fa riunioni, non convoca meeting, riposa. Quest'anno non è andata così. Quest'anno, per la prima volta, l'Europa ha tenuto la claire alzata, è volata a Mosca e Tbilisi, ha scritto un piano di cessate di fuoco in 56 ore e, 24 ore più tardi, lo riportava a Bruxelles controfirmato dai due belligeranti.Una roba mai vista. Nel palazzo ne sono ancora traumatizzati. Ma il bello è che tutto è avvenuto sotto lo sguardo dei cittadini europei. E i cittadini europei hanno gradito, perché finalmente hanno visto l'Europa fare quello che dovrebbe fare: agire.È a loro che dovranno rispondere le leadership europee se, passata la crisi, si ritornerà al “business as usual”.
Data: 2008-10-24
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