Fabio Cavalera, Corriere della Sera, 26 marzo 2009,
Sarà una inutile parata di leader? Agli scettici che vedono profilarsi nel
summit del G20 del prossimo 2 aprile a Londra, convocato per cercare una soluzione alla recessione globale,
David Miliband, il ministro degli esteri britannico manda un messaggio chiaro: «Avrà un significato politico molto importante». Il numero uno del Foreign Office ritaglia, in queste ore frenetiche di preparazione, uno spazio per un'intervista al Corriere della Sera e spiega: «Al di là dei contenuti che saranno affrontati occorre sottolineare che il meeting avrà un valore storico di partenza».
È davvero così fiducioso? «Sì che lo sono. Il 2 aprile finirà un' epoca, quella dell'unilateralismo, e avremo la grande opportunità di cominciare a ragionare, discutere e affrontare le grandi questioni internazionali mettendoci tutti sullo stesso piano. Scatta l'ora del multilateralismo inclusivo. Ecco il vero significato politico del prossimo G20. Dovrà essere e sarà un passo avanti, importantissimo, rispetto a tutte le precedenti consultazioni a più voci».
Le premesse sono però che gli Stati Uniti chiedono all'Europa, anzi insistono affinché si decidano massicci interventi di stimolo fiscale sull'esempio di quanto fatto da Washington. E Londra pare essere sulla stessa lunghezza d'onda. «Di una cosa sono certo: Obama non verrà a Londra per imporre le idee e programmi di una superpotenza. Verrà per parlare, per capire e per concordare con l'Europa e con i Paesi in via di sviluppo quali sono le strategie più efficaci per ridare fiato alla domanda, per avviare il coordinamento delle politiche macroeconomiche, per fare ripartire i commerci internazionali, per dare ossigeno ai Paesi poveri e per affrontare la questione ambientale tagliando le emissioni di gas nocivi. Date queste premesse, sottolineando ancora che non vi sarà alcuna volontà di prevaricare o dare ordini, mi sembra che si possa dire che siamo già di fronte a un grande risultato».
Però, servono azioni e non parole. Il G20 durerà un solo giorno, come è possibile pensare che venti governi riescano a trovare un'intesa su temi così delicati, così profondi, temi sui quali ognuno ha una propria ricetta. «Non si parte da zero. Alle spalle abbiamo un lavoro di settimane, di mesi, un lavoro proficuo che è servito a confrontarsi, a mediare, a preparare il terreno. Ciò che, in primo luogo, serve è la comune consapevolezza che dobbiamo operare in maniera coordinata per stimolare la domanda. Non vi è un approccio britannico opposto a un approccio francese o tedesco o italiano. Tutti i leader europei riconoscono ormai che questa crisi ha, sì, una forte componente finanziaria, che vi è dunque la necessità di una regolamentazione per limitare al massimo e con urgenza i rischi sistemici, ma sono consapevoli che non si è di fronte soltanto a una crisi di carattere finanziario bensì a una crisi drammatica dell'economia. Quindi che la ripresa della domanda, gli stimoli per fare ripartire il motore sono molto, molto importanti. E questi due pilastri degli accordi che prenderemo nel summit di Londra, accordi sia sulla regolamentazione finanziaria sia di coordinamento macroeconomico, hanno bisogno di essere sostenuti dall'impegno a rispettare i liberi commerci internazionali, dall'impegno a sostenere i Paesi poveri i quali non sono responsabili della crisi e ne pagano gli effetti, anche dalla consapevolezza che la ripresa non può che essere sostenibile, cioè a basso impatto ambientale. È questa la strada che l'Europa, gli Stati Uniti, tutti stanno preparando».
Dunque, non vi è il pericolo che interessi nazionali prevalgano su una visione globale della crisi e che il summit fallisca? «E' significativo che nei momenti più difficili, nei momenti in cui era necessario immettere liquidità nel sistema bancario, nei primi passaggi della crisi l'Europa abbia agito in fretta e unita. Ma non solo. Nel dicembre scorso quando vi è stato il primo G20 l'Europa ha concordato sull'impegno a stimoli fiscali pari all'uno per cento del prodotto interno lordo, infine la settimana scorsa sempre l'Europa ha riconosciuto che i collegamenti nelle diverse politiche macroeconomiche sono inevitabili. Il summit del 2 aprile, comunque, non punterà unicamente sugli aspetti macroeconomici, avrà obiettivi specifici, come ad esempio la riforma dell'organizzazione e delle risorse del Fondo Monetario e come la regolamentazione finanziaria sulla quale mi pare che vi sia consenso. Avrà l'obiettivo politico di dare voce ai Paesi in via di sviluppo superando la vecchia impostazione secondo cui contava solo la parola dei Paesi dell'Occidente. Un multilateralismo inclusivo per superare lo sbilanciamento politico ed economico fra i Paesi che sono ricchi, quelli che lo stanno diventando e quelli che non lo sono».
Quali difficoltà vede nella soluzione positiva del summit? «La grande difficoltà è che la situazione cambia in fretta, cambia ogni ora. Per cui la forma e i contenuti della crisi di oggi sono certamente diversi da quelli che avremo il giorno del summit. E ciò significa che abbiamo un moving target, un bersaglio in movimento. Il che ci pone dei problemi nel cercare le soluzioni e le mediazioni ».
Il futuro dei summit mondiali: il G8 o il G20? «Non può essere il G8, non può più esserlo perché riunisce soltanto i ricchi. Ciò non significa che il G8 non abbia più un ruolo. Resta pur sempre una sede dove i Paesi avanzati possono lavorare assieme e confrontarsi. Ma la sede per affrontare a livello globale la crisi deve per forza di cose allargarsi».