Sergio Romano, Corriere della Sera, 9 aprile 2009,
Proviamo a parlare del terremoto abruzzese, anche se è difficile farlo in questo momento, con la freddezza e il distacco con cui giudicheremmo l'avvenimento osservandolo da un Paese straniero. L'Italia non è molto diversa da quella delle inondazioni e dei sismi degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Il Paese ha una pessima conformazione geografica, un traballante sistema orografico e fluviale, un'alta densità demografica, ed è esposto, più di altre regioni europee, al rischio di grandi calamità naturali.
Non possiamo evitarle, ma possiamo ridurne il pericolo e mitigarne gli effetti. Basterebbe, per raggiungere lo scopo, evitare di costruire nelle zone a rischio e applicare diligentemente le precauzioni rese possibili dall'edilizia moderna. La California e il Giappone sanno che verranno colpiti da un grande terremoto nel corso dei prossimi trent'anni, ma hanno fatto il possibile per ridurne le conseguenze. Anche noi sappiamo che la terra continua a tremare sotto di noi, che il Vesuvio non è spento, che i torrenti dell'Appennino possono diventare spaventose macchine da guerra, che i nostri boschi sono male custoditi e governati, che Venezia è esposta a rischi mortali. Ma l'arte del pensare sui tempi lunghi sembra essere estranea alla nostra natura. Le leggi esistono, ma vengono sistematicamente sconfitte da una potente coalizione di interessi elettorali, fatalismo individuale, imperizia amministrativa, affarismo spregiudicato, instabilità governativa e una somma di cavilli giuridici che metterebbe in ginocchio il più illuminato dei riformatori. Fra la preveggenza e il tornaconto, politico o individuale, vince quasi sempre il tornaconto.
Ma il Paese imprevidente può essere al tempo stesso, nel momento del pericolo, generoso ed efficiente.
Nella tragedia abruzzese le istituzioni hanno reagito con rapidità e le organizzazioni del volontariato hanno risposto all'appello con una prontezza di cui altri Paesi, più inclini alla programmazione, non sarebbero capaci. Dopo gli show e le sortite goliardiche della settimana scorsa il presidente del Consiglio ha dimostrato che dentro l'impresario teatrale vi è l'imprenditore, capace di organizzare e di gestire. La Protezione civile può avere commesso qualche errore di supponenza, ma il suo direttore ha provato con i fatti che era pronta ad affrontare l'emergenza.
I partiti, sui due lati dello schieramento politico, hanno capito che il gioco delle reciproche accuse sarebbe stato in questo momento irresponsabile. Di fronte all'Italia peggiore è apparsa, in altre parole, l'Italia migliore. Ma non possiamo fermarci a questa constatazione. Le virtù dei momenti difficili non possono condonare i vizi dell'altra Italia, quella che vive spensieratamente alla giornata senza pensare al futuro. Non basta ricostruire l'Abruzzo. Occorre pensare sin d'ora alla prossima calamità. E' il solo modo per evitarla.