Giovanni Sartori, Corriere della Sera, 24 aprile 2009, La Terra come sta? Di recente abbiamo avuto tanti terribilidispiaceri — dal terremoto all'Aquila alla depressione economicaglobale—che lo stato di salute del nostro pianetino (che diventa tantopiù piccolo quanto più i suoi abitanti diventano numerosi) è statoquasi dimenticato. Il 22 aprile è stata celebrata, nel mondo, la«giornata della Terra». Da noi questa celebrazione è passata quasiinosservata. L'importante notizia resta che, dopo le sciaguratepresidenze Bush, gli Stati Uniti di Obama si stanno rapidamentesensibilizzando anche al problema ecologico. E un po' anche la nostraConfindustria (Marcegaglia dixit).
Ma è proprio vero che il surriscaldamento del nostro pianetino siaopera dell'uomo, che sia colpa nostra? Il sempre più sparuto plotone discienziati che lo nega pur sempre ammette che le emissioni inquinantidell'uomo contribuiscono, nell'ordine di almeno un 25%, all'effettoserra e quindi alla alterazione del clima. Anche se così fosse (e per ipiù così non è) in ogni caso non vedo perché non ci si debba impegnarea oltranza nel combattere la catastrofe climatica che ci minaccia. Ciòpremesso, il problema non è solo il clima. E' anche che manca, emancherà sempre più, l'acqua potabile, o comunque l'acqua perl'agricoltura. Dal che consegue che nelle zone povere e sovrappopolatemancherà il cibo, e quindi che in Africa, India e anche in Cina incombela minaccia di terribili carestie. Non basta.
Un ulteriore problema è che per sopravvivere in tanti, in troppi,abbiamo sempre più bisogno di energia, mentre le nostre riserve dienergia (a cominciare dal petrolio) sono in via di esaurimento; e nonci sarà, temo, vento o sole che bastino per soddisfare la fame dienergia dei sette miliardi di esseri umani ai quali presto arriveremo,per non parlare dei nove miliardi stimati da infauste previsioni. Tuttii suddetti problemi non esisterebbero se fossimo ancora i tre miliardidi quando io nascevo. Il che equivale a dire che la popolazione dellaTerra non deve crescere ma diminuire. Elementare, mi sembra. Ma per laChiesa l'argomento è tabù. E anche il grosso degli economisti ha sinorapuntato su uno «sviluppismo » (arricchismo?) infinito, come se noivivessimo in uno spazio illimitato provvisto di risorse inesauribili.Il guaio è che da gran tempo gli economisti leggono solo se stessi eche si sono chiusi anche loro nella propria nicchia specialistica.
Così come i giuristi evadono dai problemi della realtà dichiarandoliextra-giuridici, alla stessa stregua gli economisti eliminano iproblemi che non sanno o non vogliono affrontare sotto la voceexternalities, di effetti esterni che non li riguardano. Vedi caso, traqueste externalities c'è l'inquinamento dell'atmosfera e dell'acqua, ladeforestazione selvaggia che desertifica il suolo e, insomma, tutti iproblemi posti dal tracollo ecologico. Eppure è di tutta evidenza cheil danno ambientale già prodotto è enorme e che comporterà costi enormidi riparazione e di ripristino. Ammesso che non sia già troppo tardi.Dio non voglia.
E' vero che al momento l'emissione dei gas inquinanti sta calando;ma è perché siamo in una recessione che chiude industrie. E un male chene scaccia un altro non è la soluzione del problema. Per questorispetto la soluzione è di capire che l'avvenire dello sviluppoindustriale è la sua riconversione in un'economia «verde» di risparmioenergetico.