Stefano Ciavatta, Il Riformista, 22 aprile 2009,
Nel 1941, l'anno di massimo fulgore del Terzo Reich, nella fascista Roma, lungi dal pensarsi già città aperta, due studenti universitari passeggiano in piazza san Giovanni in Laterano. Uno in particolare è sorpreso quasi spaventato dallo scatto fotografico, pur amichevole. Si chiama Giorgio Marincola e ha tutte le ragioni per esserlo. Giovane azionista, allievo di Pilo Albertelli professore di storia e filosofia (ma soprattutto di antifascismo, trucidato alle Ardeatine), Giorgio sarà l'unico partigiano italiano di colore decorato nel 1953 alla memoria con la medaglia d'oro al valore militare.
Un “nero”, nato a Mahaddei Uen (Somalia) il 23 settembre 1923 e caduto a Stramentizzo, vicino Castel di Fiemme (Trento) il 4 maggio 1945. Una storia rimossa sistematicamente per 50 anni e poi risorta - in ritardo rispetto alla new wave sulla Resistenza degli anni 90 - grazie a due studiosi, Carlo Costa e Lorenzo Teodonio, che hanno ricostruito una biografia di Giorgio Marincola, intitolata “Razza Partigiana”, edita da Iacobelli. Difficile mettere insieme i frammenti di testimonianze e documenti su un ragazzo morto a soli 23 anni, la cui storia è un intreccio di fatti certi e di silenzi, prima di tutto politici: muore infatti nell'eccidio di Stramentizzo a guerra finita. Il fascicolo della strage nazista era tra i 695 riguardanti crimini di guerra commessi in Italia durante l'occupazione, occultati subito dopo la guerra e rinvenuti nel 1994 dentro l'armadio della vergogna, in uno sgabuzzino della cancelleria militare di Roma. Su tutti il promemoria “Atrocities in Italy” dei servizi segreti britannici. Nel massacro Marincola è colpito alle spalle, “struck by bullet on left shoulder blade” come dice il rapporto. Le SS oramai allo sbando, uccisero a tradimento civili e partigiani, bruciando le case di due paesi.
Silenzio ci fu anche quando si trattò di riconoscere l'identità del cadavere del partigiano nero. Un ufficiale medico sudafricano? Un soldato afro americano? Un internato mulatto del lager di Bolzano? Era invece semplicemente un italiano di origine somala, figlio di un sottufficiale calabrese dell'esercito e di una donna somala. Divenne partigiano a Roma poi si spostò a Viterbo, sabotaggio e guerriglia, poi paracadutato a Biella seguì Edgardo Sogno. Fatto prigioniero, torturato e spedito nel lager di Bolzano, venne liberato dagli alleati nel gennaio ‘45. Ma il tenente “Mercurio” ritornò a combattere contro le sacche di resistenza tedesche.
Le leggi razziali che mettevano al bando i meticci, Marincola le passò indenni grazie al precedente riconoscimento paterno, idem per la sorella. Ma il colore della sua pelle era imbarazzante all'epoca anche per chi era antifascista. Un imbarazzo soft, ma sempre più di un pudore: nelle testimonianze raccolte tra gli ex compagni di scuola, la descrizione di Giorgio è sempre etica e caratteriale, mai fisica. “Nella memoria i tratti somatici di Marincola sfumano nell'affetto e nei legami amicali, nelle impostazioni e convinzioni ideologiche”. Il nero ricompare però nel disprezzo esplicito e dichiarato di un'anziana insegnante e nell'aggressività di un compagno di classe. L'odio davvero acceca? O forse paradossalmente ci vede meglio?
Oltre alla medaglia e una laurea in medicina ad honorem, di lui rimangono solo gli appunti da studente, i ricordi degli amici e dei compagni di scuola. La scelta di campo antifascista avvenne al liceo, ma nulla è documentato per certo. Tranne le sue azioni, e che fosse di colore. Ma che fatica uscire dall'oblio.