Sergio Romano, Corriere della Sera, 12 maggio 2009,
Uno dei maggiori esponenti del Partito democratico, Piero Fassino, dichiara che «respingere i barconi non è uno scandalo». La conferenza dei vescovi italiani disapprova il respingimento dei migranti e il reato d'immigrazione clandestina. Il rabbino di Roma evoca il ricordo di una nave carica di ebrei a cui fu impedito lo sbarco sulle coste americane. E il Partito democratico reagisce alle vicende degli scorsi giorni con un coro di voci discordi: da quelle di coloro che condannano il razzismo del governo o definiscono la sua politica «scandalosa», a quelle di coloro che approvano, con sfumature diverse, la linea di Fassino.
Tralasciamo la Cei e il rabbino. La prima rivendica la missione universale della Chiesa e parla in ultima analisi di se stessa e della propria vocazione. Il secondo è custode del passato ebraico e sente l'obbligo di ravvivare in ogni occasione la fiamma della memoria. Né l'una né l'altro hanno o avranno responsabilità di governo. Diverso, invece, è il caso dell'opposizione. Un partito che ha governato e si propone di tornare al potere non può limitarsi a sentenziare che le soluzioni del governo sono sbagliate, illegali e immorali. Deve contrapporre proposte utili e idee praticabili. Non può dire, ad esempio, che il problema deve essere affrontato e risolto negoziando accordi bilaterali per la restituzione dei migranti ai Paesi di cui sono cittadini. La formula ha dato buoni risultati nei Balcani, dove gli albanesi avevano un evidente interesse a collaborare con il governo italiano. Ma è destinata a produrre risultati mediocri quando l'altro Stato, come nel caso di alcuni Paesi nord-africani, controlla male il proprio territorio, ha una frontiera meridionale porosa ed è lieto di sbarazzarsi di persone che aggravano la sua situazione sociale.
Il solo accordo che ha qualche possibilità di funzionare è quello con la Libia. E' un bell'accordo? No. Non ci piace che i migranti vengano inviati in un Paese dove saranno trattati, nella migliore delle ipotesi, con una rude indifferenza. Non ci piace che il governo italiano abbia respinto in tal modo anche coloro che avevano il diritto di chiedere asilo; e il presidente della Camera ha fatto bene a ricordare che il problema non può essere eluso. Ma l'accordo con i libici, purché osservato da Tripoli, è il solo che abbia qualche possibilità di scoraggiare il traffico di carne umana sulle coste del Mediterraneo. L'opposizione non può dimenticare che l'Italia, come la Spagna, è il più esposto e il più vulnerabile dei Paesi mediterranei. Siamo desiderabili perché siamo vicini, abbiamo un lunghissimo confine marittimo e apparteniamo al «sistema di Schengen », vale a dire a una grande area in cui il controllo dei passaporti è stato abolito. Sperare che l'Italia possa difendersi dall'immigrazione clandestina con gli strumenti di cui si servono i Paesi meno vulnerabili è una illusione. Se può essere di qualche consolazione ricordo che gli Stati Uniti adottano verso i profughi cubani (una categoria che dovrebbero trattare con particolare benevolenza) la stessa politica: li accolgono se sono riusciti a sbarcare, li cacciano se vengono fermati in mare.
Il Partito democratico, quindi, non può limitarsi a criticare. Se vuole essere credibile deve accettare l'ipotesi dei respingimenti, magari con maggiori controlli italiani e internazionali sui campi dei rifugiati in territorio libico, o chiedendo, nello spirito delle dichiarazioni di Fini, che le domande d'asilo vengano raccolte e verificate in Libia. Gli sarà più facile, in tal modo, cercare di correggere quelle parti della legge sulla sicurezza che puzzano di xenofobia e rispondono alle idiosincrasie della Lega piuttosto che alle reali esigenze del Paese.