Andrea Romano, Il Riformista, 16 maggio 2009,Qualche giorno fa ho avuto una visione: Rupert Murdoch si comprava a suon di milioni un importante quotidiano italiano. Quale fosse non ricordo, ma era certamente un grande giornale nazionale. E ampiamente positive erano le conseguenze del suo arrivo sulla qualità del nostro dibattito pubblico.
Non certo per lo spostamento a sinistra dell'asse del giornalismo italiano, ché tutti sanno quale fior di conservatore sia in cuor suo il magnate dell'informazione globale. No, nella mia visione onirica l'effetto dello sbarco di News Corp sul pianeta della nostra carta stampata non era direttamente politico. Al contrario, si innescava una dinamica di depoliticizzazione e rimescolamento all'interno di un settore che risente ormai in modo sclerotico dell'eccesso di aspettativa politica con cui guardiamo ad ogni atto di rilievo che agiti il mondo dei giornali.
Cambiano i direttori, i vicedirettori, i capiservizio di alcuni tra i principali quotidiani italiani?
Non può che essere per l'intervento diretto del capo del Governo o di qualche suo accolito su questa o quella proprietà editoriale, o viceversa per esaudire una richiesta di tutela venuta dall'opposizione.
Un quotidiano insiste con particolare insistenza su una qualsiasi vicenda che incroci la discussione politica?
È certo per l'intenzione di colpire pregiudizialmente questa o quella componente di partito.
Che poi sia vero o meno, ciò che conta è che il nostro modo di assistere alle vicende del giornalismo nazionale è ormai totalmente condizionato dal senso direttamente politico che assegniamo ai principali quotidiani. Un ruolo che tutti stiamo bene attenti a interpretare con gli strumenti dell'ermeneutica del potere, o meglio del contropotere in senso compiutamente politico. Perché è lo stesso giornalismo nazionale a considerarsi tale.
E del tutto a ragione, viene da dire, se è vero che l'indebolimento della politica a cui abbiamo assistito nel corso degli anni Novanta ha assegnato alla carta stampata una funzione sostitutiva di entità sconosciuta alla gran parte dei Paesi occidentali, ben al di là del ruolo di garanzia di trasparenza nei comportamenti pubblici e di libera circolazione delle informazioni.
Se questo è avvenuto non è colpa di nessuno né tantomeno dell'oscuro disegno di qualche “potere forte”, ma non è affatto detto che sia stato un bene per la qualità del nostro giornalismo. Basta guardare all'ultimissimo esempio dell'inchiesta di Repubblica sulla vicenda Noemi. Di per sé quella di Giuseppe D'Avanzo era una grande prova di giornalismo. Ma quello che nasceva come un pezzo severo, informato e dunque feroce su una vicenda lontanissima dall'essere chiarita è diventato un proiettile destinato a far ben poco male a Silvio Berlusconi, perché si è trasformato subito nella pretesa di un contropotere che si sente tale e che partecipa in questa veste ad una contesa che già tutti conosciamo e di cui possiamo serenamente prevedere gli sviluppi.
A rischio di peccare di ingenuità, ben venga allora l'ingresso del principale gruppo informativo globale nel nostro mercato giornalistico. Gli effetti sarebbero simili a quelli già visti sul mezzo televisivo, dove l'informazione Sky non ha il tono piatto della neutralità, ma il pregio molto più raro del non dover essere sempre letta nello specchio della dinamica quotidiana tra gli schieramenti parlamentari. O peggio ancora, in quello del confronto occulto tra poteri più o meno forti ma sempre sospettati di voler nascostamente condizionare il dibattito pubblico. Un pregio che ha già sollevato il morale dei telespettatori e incoraggiato l'emulazione della fetta più vigile dell'informazione televisiva concorrente.
Ma soprattutto sarebbe prevedibile un effetto a carambola sugli altri gruppi editoriali italiani, che sotto lo stimolo della competizione internazionale potrebbero dismettere almeno una parte delle ambizioni politiche più o meno consapevoli che ne condizionano l'operato e le potenzialità.
L'arrivo di Murdoch sarebbe accolto con sospetto e diffidenza? Scontato ma privo di conseguenze reali. Come ha scritto Christian Rocca sul Foglio del 29 aprile, a proposito dei risultati della recente acquisizione del Wall Street Journal, «l'arrivo del barbaro australiano aveva indignato l'establishment culturale ed editoriale americano». Se non che, due anni dopo quella cruenta scalata, il Wall Street Journal è l'unico grande quotidiano statunitense che in questo periodo infernale ha guadagnato copie senza perdere un solo grammo di credibilità.