Franco Venturini, Corriere della Sera, 14 giugno 2009, La speranza di una primavera iraniana è durata poco, quanto durano i sogni. E la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad, malgrado la delusione e l'inedita protesta antibrogli dei giovani di Teheran, promette ora di modificare in profondità l'infuocato panorama mediorientale. Per cominciare è opportuno, ora che conosciamo il nome del vincitore, identificare quello del vero perdente. Che non si chiama Hossein Mousavi, bensì Barack Obama. Il presidente statunitense, con una scelta a nostro avviso giusta dopo il troppo tempo perso dall'incomunicabilità bushiana, ha offerto a Teheran un dialogo senza precondizioni finalizzato al superamento della questione nucleare. Il messaggio è stato indirizzato al presidente in carica Ahmadinejad e alla «guida suprema» Khamenei. Ma è evidente che la Casa Bianca, pur facendo attenzione a non interferire nella vicenda elettorale iraniana, sperava che dalle urne uscisse un segno di discontinuità. Perdenti sono anche, in pieno contrasto con la soddisfazione di Hamas e di Hezbollah, gli Stati arabi sunniti. Dall'Egitto all'Arabia Saudita costoro non hanno mai nascosto i loro timori verso la crescente potenza e influenza dell'Iran sciita, e nella loro ottica un cambio della guardia a Teheran sarebbe stato, se non una polizza di assicurazione, almeno un forte motivo di sollievo. Con Ahmadinejad confermato, invece, le paure sono destinate a crescere soprattutto nella cruciale area del Golfo. E non si può escludere che esse si traducano in una catastrofica quanto incontrollabile proliferazione nucleare.
Data: 2009-06-15
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