Guido Rampoldi, Repubblica, 3 luglio 2009,Con l'uniforme militare e la pistola in pugno, ma senza la baionetta insanguinata al fianco, torna sulla scena un vecchio compagno di strada del Novecento, il colpo di Stato. Quello avvenuto in Honduras somiglia ad una congiura di palazzo più che al classico golpe centro e sud-americano con il suo seguito inesorabile - il Terrore mediante tortura, sparizioni di oppositori, liquidazione fisica del gruppo dirigente avversario. È un golpe bianco, quasi incruento, postmoderno, tutt'altra cosa dalle macellerie degli anni Settanta, l'Argentina, il Cile, la Bolivia. Ma non per questo risulta accettabile alla comunità internazionale.
Vent'anni fa, al tempo della Guerra fredda, i generali honduregni non avrebbero faticato a trovare comprensione al Pentagono, che allevava nelle sue accademie le caste militari sudamericane, e nelle destre europee, benevole verso chiunque combattesse le sinistre massimaliste. Oggi quei militari non suscitano simpatie in alcuno tra i governi occidentali. Tantomeno a Washington, severa nel condannare la deposizione del presidente legittimo.
Quest'ultimo, costretto all'esilio, riceve la solidarietà simbolica delle Nazioni Unite e quella, più pesante, dell'amministrazione Obama. È il segno che il colpo di Stato è un genere ormai fuori corso, o perlomeno circoscritto ai Paesi di quello che è ancora Terzo mondo? In apparenza è così.
Le nazioni che negli ultimi anni hanno visto militari o milizie rivoluzionarie tentare di prendere il potere sono quasi tutte poverissime (Mauritania, Guinea-Bissau, Somalia, per stare agli esempi più recenti). Per trovare un golpista occidentale bisogna tornare al 1981, quando un pagliaccesco colonnello spagnolo, Antonio Tejero, irruppe nel parlamento insieme ad un gruppo di guardias civiles (si arresero poche ore dopo, senza sparare un colpo). Ovunque nel mondo sviluppato le corporazioni militari non sono più ideologizzate come durante il conflitto tra i Blocchi, quando si attribuivano anche il compito, teorico o fattuale, di combattere il "nemico interno"; e la partecipazione alle missioni internazionali ha cambiato nel profondo la loro cultura, immettendovi il valore dei diritti umani e una sensibilità "politica" prima assente.
Data: 2009-07-03