Marco Belpoliti, La Stampa, 3 agosto 2009,
Chi controlla le fiction televisive, controlla la televisione. Il potere del piccolo schermo luminoso non risiede più nei telegiornali, ma nel complesso sistema delle fiction. Certo, i telegiornali che tacciono, oppure esaltano, una certa notizia, contano, ma solo nell'immediato, ovvero nello spazio di 12-24 ore. Poi notizia scaccia notizia. E nessuno se ne ricorda più.Le fiction invece lavorano alla distanza, perforano la memoria e costituiscono il sistema dei nostri ricordi attivi su molti argomenti: la salute vista attraverso Terapie d'urgenza, i sentimenti con lo sguardo di Un medico in famiglia, la storia via Barbarossa, l'educazione attraverso Maria Montessori, la mafia spiegata da L'ultimo dei Corleonesi; e così via. Per questo chi dirige Rai Fiction, o l'analoga struttura Sky o Mediaset, non è uno qualunque, ma il padrone dell'immaginario degli italiani. Un fatto culturale e ora anche politico.
Così si spiega l'attuale balletto di cariche intorno ai giornali di proprietà del presidente del Consiglio, e l'importanza strategica che nella sua politica dell'immagine ha la nomina del direttore di Rai Fiction, struttura dotata di un notevole budget, per questo ambita, ma anche perché è oggi una carica «politica». Più di vent'anni fa con Hill Street Blues i serial televisivi sono entrati nell'orizzonte dello spettatore medio e ne costituiscono, nel bene e nel male, l'immaginario più pervicace. Chi non ne ha seguito, per curiosità o per passione, almeno uno? Le fiction hanno preso il posto dei romanzi d'appendice, della letteratura seriale, dei fotoromanzi e delle storie che si raccontavano di bocca in bocca la sera nelle case. In effetti fiction significa racconto, prosa narrativa basata su avvenimenti immaginari con personaggi immaginari. E ha una doppia valenza, come ci ricorda Massimo Melotti, autore di L'età della finzione (Luca Sossella Editore): un aspetto creativo, inventivo, e un aspetto di simulazione. Fiction come finzione. Non semplicemente falso, bensì simile al vero.
L'arrivo delle fiction televisive, figlie delle soap opera americane e delle telenovelas sudamericane, ha mutato il regime di realtà introducendo tra il vero e il falso una via di mezzo che è il verosimile: simile al vero, ma non vero. La fiction non è solo un effetto massmediale, ma condiziona in modo attivo i nostri modi di pensare, le convinzioni più intime, gli stessi comportamenti. E ora che le fiction sono diventate anche dei racconti a sfondo storico - Barbarossa - anche il nostro modo di ricordare il passato. Un telefilm televisivo in più puntate dedicato ai Comuni italiani o al Risorgimento vale più dei libri di testo scolastici. L'immagine sta avendo il sopravvento sulla parola scritta. Il punto è che la fiction costituisce sempre più la fonte attiva dei ricordi delle persone, sostituendosi alle esperienze stesse, con uno scambio continuo tra «realtà» e «finzione», così che la finzione è più potente della realtà stessa e la modella. La fiction televisiva rispetto al cinema ha qualcosa di più: permette agli spettatori di identificarsi con i personaggi «reali» della finzione, mentre l'eroe, modello del romanzo come del film, resta unico e lontano dalla vita dei singoli. E non ci sono solo le opere di narrazione o di finzione scenica - sit-com, serial, telenovelas, soap opera - ma anche i talk show e i cosiddetti docudrama (dove si drammatizzano temi controversi della vita reale) e docufiction (documentari su temi storici con attori) appartengono al genere fiction. Melotti nel suo studio ci ricorda le tre caratteristiche di questi generi televisivi: per loro la realtà è un materiale grezzo su cui operare; il pubblico vi può partecipare; il conduttore costituisce l'indispensabile tramite tra realtà e finzione. Il Grande Fratello è un esempio perfetto di fiction: si basa sulla realtà, ma il suo copione è scritto in modo narrativo.
Per questo è così importante il posto di direttore della fiction nella televisione cosiddetta di Stato. Se nella società dell'informazione era ancora necessario usare delle notizie - più o meno manipolate -, nella società della fiction basta far girare la stessa storia attraverso strumenti scenici e televisivi: inquadrature diverse, prospettive diverse, versioni diverse. Ciò che non deve mai cambiare è il plot della storia. Per quanto Internet modelli il paesaggio futuro, la tv agisce sul paesaggio presente di moltissimi, soprattutto delle classi popolari, che non sono solo i proletari di marxiana memoria, ma anche impiegati, casalinghe, giovani e ora anche immigrati. Per loro c'è la fiction con la sua capacità di «mantenere la tensione dell'evento in sé». Marc Augé ha scritto che il tempo in cui il reale si distingueva chiaramente dalla finzione è scomparso. I padroni della fiction sono i padroni del nostro immaginario.
Forse solo quando sbatteremo contro il fondale di cartone, allestito dal padrone della neotelevisione, sentiremo come Truman la voce del regista di turno che, di fronte al sano istinto di andare oltre, ci dirà con tono suadente e materno: «Sono il creatore di uno show televisivo che dà speranza, gioia ed esalta milioni di persone. Ascoltami, là fuori non troverai più verità di quanta non ne esista nel mondo che ho creato per te: le stesse ipocrisie, gli stessi inganni, ma nel mio mondo non hai nulla da temere». Sapremo sfondare il muro d'immagini che ci separa dalla realtà e ritrovarla, una buona volta?
Data: 2009-08-03
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