Matteo Tacconi, Europa, 12 agosto 2009,
Micidiale stoccata, quella tirata ieri da Dmitry Medvedev all'Ucraina. Con una lettera all'omologo Viktor Yushchenko, il presidente russo ha accusato Kiev di incrinare volutamente le relazioni con Mosca, elencando tutta una serie di ragioni, che spaziano dalle velleità euro-atlatiche ai rapporti energetici. Medvedev ha aperto la lettera – consultabile sul sito del Cremlino e integrata da un video in cui Medvedev ne illustra i passaggi – accusando l'Ucraina di avere concesso forniture militari a Tbilisi durante il conflitto russo-georgiano dell'anno scorso.Ha poi criticato l'idea, brandita da Yushchenko, che Kiev debba coprirsi con l'ombrello Nato dalla minaccia russa, nonché biasimato i tentativi ucraini di “ostacolare” le attività della flotta russa del Mar Nero, ormeggiata nel porto ucraino di Sebastopoli.
Non basta: Medvedev ha smontato anche la visione di Kiev sulla grande carestia sovietica degli anni '30 (un dramma seguito ai piani di collettivizzazione di Stalin, che l'Ucraina, allora la nazione più colpita, definisce “genocidio”) e contestato il progetto, di conio yushenkiano, di istituire una chiesa ucraina indipendente e di sancire così lo scisma con il patriarcato di Mosca.
Infine la questione energetica. «Kiev – così nella lettera – sta danneggiando i legami economici con la Russia, specie nel settore energetico». Traduzione: l'inverno potrebbe portare in dote una nuova guerra del gas.
L'iniziativa di Medvedev, che peraltro ha sospeso l'invio del nuovo ambasciatore russo a Kiev – quasi una rottura diplomatica – suona come il tentativo d'interferire negli affari interni del vicino, a cinque mesi dalle presidenziali di gennaio, che vedranno il testa a testa tra il primo ministro Yulia Tymoshenko e Viktor Yanukovich. Chiaro che il Cremlino, sebbene negli ultimi tempi la “pasionaria di Kiev” abbia assunto posizioni meno intransigenti verso la Russia, discostandosi dal “campo arancione”, sostiene Yanukovich, capo del Partito delle Regioni, radicatissimo nell'Ucraina russofona (e russofila), che garantirebbe il ripristino del pieno controllo politico sull'ex “granaio d'Europa”.
Ma la lettera non è rivolta alla sola Kiev. È anche un avvertimento agli altri paesi dell'area post-sovietica, che recentemente hanno mostrato un po' di freddezza nei confronti dello “stato-guida”. La conferma è arrivata dall'ultimo vertice della Csi, il “commonwealth” postsovietico, disertato polemicamente dai leader di Ucraina, Turkmenistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Bielorussia. Medvedev – questo il messaggio “subliminale” contenuto nella missiva a Yushchenko – ha quindi voluto ribadire ai paesi limitrofi che sganciarsi dall'area d'influenza russa potrebbe portare più problemi che benefici.
L'altra destinataria della lettera è l'America, che qualche settimana fa, con la visita di Joe Biden a Kiev e Tbilisi, ha rilanciato l'appoggio a Ucraina e Georgia, auspicando che Mosca non ne intralci le manovre d'avvicinamento alla Nato. Nonostante la retorica del “reset button” e lo sforzo ricucire, Washington e Mosca, sul fronte post-sovietico, restano dunque nelle rispettive trincee e nei prossimi tempi, c'è da scommettere, la guerra di posizione continuerà. Anche perché Mosca, senza l'Ucraina – parola dello stratega statunitense Zbigniew Brzesinski – perde la sua “vocazione imperiale”. Quindi perde tutto.