Bernardo Valli, Repubblica, 24 agosto 2009,
Dove soffiano le passioni e prevale la violenza l'aritmetica è un'opinione. È quel che accade in queste ore a Kabul dove due candidati alla presidenza si dichiarano simultaneamente vincitori. Entrambi leggono i numeri come meglio gli aggrada. Non si conoscono ancora i dati ufficiali del voto di giovedì scorso, 20 agosto. Né quelli riguardanti la partecipazione, né i quozienti ottenuti dai vari candidati. Ma indiscrezioni insistenti danno in netto vantaggio Hamid Karzai, il presidente uscente, il quale potrebbe essere eletto al primo turno, avendo ottenuto, cosi pare, più del 50 % dei voti espressi.
È quel che emergerebbe dal conteggio. Ma nell'attesa che una qualche autorità convalidi questo risultato, il principale antagonista di Karzai, l'ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah, denuncia "innumerevoli frodi e irregolarità". Dice, ad esempio, che nelle province del Sud, è stata registrata una partecipazione al voto del 40-45 %, mentre nella realtà sarebbe stata al massimo del 10%. La truffa avrebbe consentito a Karzai di aggiudicarsi voti inesistenti in quella zona abitata da pashtun, il suo gruppo etnico, ma anche infestata di Taliban. E quindi dove i seggi sono rimasti semideserti. Insomma, secondo Abdullah, Karzai avrebbe ricevuto i voti di legioni di fantasmi.
Un'elezione organizzata secondo i manuali democratici non è una pozione magica, a effetto stabilizzante sicuro, ovunque. Il fatto che sia stato possibile realizzarla in Afghanistan ha del prodigioso. Ed è stato giusto esaltare l'avvenimento. Ma l'elisir occidentale del voto crea situazioni diverse di contrada in contrada, e secondo le stagioni politiche. Chiusi i seggi e spentisi i primi euforici giudizi, l'imbroglio afgano sembra ancora più aggrovigliato, e insolubile, perlomeno nel futuro scrutabile.
A sostenere che la situazione "si sta deteriorando" è in queste ore lo stesso capo di stato maggiore americano, l'ammiraglio Mike Mullen. I militari della Nato, non solo americani, dichiarano che il conflitto si fa sempre più pesante perché le azioni dei Taliban sono sempre più efficaci.
Impegnati sul terreno, confrontati alla brutale realtà, essi cercano di dissipare l'illusione creatasi nelle ore successive al voto. Quando si ebbe l'impressione che gli elettori avessero messo in fuga i Taliban. Quelli che hanno osato andare alle urne li hanno sfidati con coraggio. Questo sì.
Nessuno pensava che il voto portasse per incanto la pace, ma l'affluenza alle urne e la sicurezza nei seggi avrebbero rivelato lo stato d'animo del Paese e la sua capacità di opporsi all'estremismo jihadista. Sono bastati pochi giorni, quelli necessari per conoscere sia pur sommariamente quel che è accaduto nelle province, per accorgersi che molti seggi erano rimasti semideserti, che molte donne li avevano disertati, nella stessa Kabul, e che, oltre alle minacce dei Taliban, avevano pesato sugli elettori anche abusi e prepotenze tribali. Esercitati dai sostenitori dei candidati. Karzai ha richiamato dalla Turchia l'uzbeco Dostom, un ex idraulico, un tempo prosovietico, diventato signore della guerra di Mazar-e-Sharif, e in quella veste autore di massacri che gli valsero di essere considerato un criminale di guerra.
Si può obiettare che ogni società polemizza, anima un dibattito elettorale, secondo i suoi costumi, le sue tradizioni. E in questa luce il voto afgano non è stato certo fiacco. C'è tuttavia un dato significativo: la partecipazione, della quale non si ha ancora il quoziente esatto, ma che stando a una stima ottimistica dovrebbe aggirarsi attorno al 45%, vale a dire circa il 30 % in meno delle precedenti elezioni presidenziali del 2004 (che conobbero un'affluenza superiore al 70%).
In questo caso l'aritmetica non è un'opinione. Rivela che sette anni dopo la cacciata dei Taliban dal potere e dopo cinque dalle prime elezioni presidenziali la fiducia nel regime, e nelle truppe straniere che lo sostengono, è diminuita, e che la paura (o l'influenza) dei Taliban è cresciuta. È difficile stabilire quanto abbiano rispettivamente pesato.
Sette anni fa i Taliban erano in fuga, sconfitti, inseguiti, detestati, screditati, sbattuti in prigione o al muro. Oggi i responsabili militari, compreso il generale Stanley McChristal, l'ufficiale americano più alto in grado a Kabul, parla di un nemico aggressivo, del quale bisogna fermare la dinamica. E aggiunge: "È una dura impresa".
La rissa sui risultati elettorali non aumenta la credibilità di Karzai, da tempo accusato di corruzione e di inefficienza, e adesso di brogli elettorali. Quest'ultimi potrebbero inquinare la legittimità della carica nella quale starebbe per essere riconfermato, se le indiscrezioni sono esatte. Il fronte anti jihadista dalla cui stabilità dipende l'esito della spedizione occidentale in Afghanistan non sembra uscire particolarmente rafforzato dal voto del 20 agosto e dalle polemiche che ne sono nate e che sono destinate a crescere.
È noto che la nuova amministrazione americana avrebbe preferito un cambio presidenziale a Kabul. Karzai non era il suo favorito. Ma il sistema elettorale, ricalcato sul modello democratico occidentale, per quanto imperfetto, resta il migliore: e bisognerà accettarne il verdetto, anche se influenzato dalle tradizioni locali.
Data: 2009-08-24
|