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LA FINE DEL BIPOLARISMO ETICO

Le principali tra le questioni “eticamente sensibili” potrebbero essere affidate a una sorta di “senato etico” di natura non elettiva (un po' sul modello dei Lords nel Regno Unito) che discuta e approvi le – poche – leggi necessarie

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di Mario Ricciardi

In questo periodo si è molto discusso delle possibili spiegazioni della sconfitta del Partito Democratico, ma ben poco si è parlato di un altro fenomeno che mi pare meriti attenzione: gli elettori hanno bocciato il “bipolarismo etico”. Tutte le forze politiche – a sinistra come a destra – che hanno condotto la propria campagna elettorale su una piattaforma basata su contrapposizioni morali assolute sono state sconfitte. In alcuni casi, sono addirittura sparite. Possibile che ciò dipenda solo dal fatto che gli italiani hanno una percezione delle priorità del paese diversa da quella di Giuliano Ferrara o di Vladimir Luxuria?

In effetti, è verosimile che gli elettori fossero più preoccupati per la rata del mutuo che per le forme e i limiti della libertà sessuale. Ciò nonostante, non credo che questa interpretazione sia corretta. Almeno non del tutto. Insieme alla legittima preoccupazione per il proprio patrimonio, gli italiani si sono fatti guidare anche da un robusto senso della realtà, tenendosi alla larga da chi dava l'impressione di voler ridurre un dilemma morale a una dicotomia politica. L'esempio della campagna di Giuliano Ferrara è, da questo punto di vista, emblematico. Se portata alle estreme conseguenze, la sua posizione sull'aborto appariva inquietante, perché correva il rischio di mettere in pericolo il delicato equilibrio tra tutela della vita e rispetto della libertà di scelta delle donne raggiunto con la legge sull'interruzione della gravidanza. Se presentata con troppi distinguo, l'iniziativa della lista Ferrara si rivelava politicamente irrilevante. Non riuscendo a credere che la lista avesse il valore di una “testimonianza” morale, gli elettori – anche quelli che si dicono cattolici – hanno preferito evitare una polarizzazione irragionevole lasciando uno spazio aperto per ragionare e dubitare.Credo che l'italiano medio abbia rifiutato il bipolarismo etico perché non ha certezze. Ciò non vuol dire che sia nichilista per scelta intellettuale. Piuttosto direi che l'incertezza dipende dal fatto che non si sente sicuro del proprio giudizio. Ciò lo spinge a temere la prospettiva di un parlamento in cui il bipolarismo etico si affermi come corollario di quello politico. In questo senso, il risultato elettorale mostra un orientamento “realista” perché prudente. Invece di affidarsi a chi proponeva prospettive assolute – sia libertarie sia conservatrici – gli italiani hanno scelto partiti che non si identificano in modo troppo netto con una visione morale. La petulanza con cui alcuni hanno lamentato l'assenza di cattolici dalla lista dei ministri del governo Berlusconi è un segnale dello smarrimento che questo realismo ha provocato tra certi alfieri del bipolarismo etico.

Alla luce di queste considerazioni, l'esito delle elezioni potrebbe offrire a maggioranza e opposizione l'opportunità per esplorare nuovi modi di affrontare le grandi questioni etiche sul piano parlamentare. Se è vero che gli italiani hanno respinto il bipolarismo etico, c'è forse uno spunto su cui lavorare alla ricerca di soluzioni istituzionali innovative.Un'ipotesi su cui vale la pena di riflettere è che siano maturi i tempi per mettere in questione il dogma per cui qualsiasi scelta legislativa debba passare esclusivamente attraverso i partiti. L'idea è che le principali tra le questioni “eticamente sensibili” potrebbero essere affidate a una sorta di “senato etico” di natura non elettiva (un po' sul modello dei Lords nel Regno Unito) che discuta e approvi le – poche – leggi necessarie. Un'assemblea composta di persone di riconosciuto prestigio, religiose e non, che accettano di mettere a disposizione del pubblico, per il resto della vita, la propria esperienza, scrivendo leggi che non siano soltanto l'espressione del prevalere momentaneo di una maggioranza elettorale. La legislazione bioetica non può cambiare a ogni legislatura. Ciò non vuol dire che i partiti debbano rinunciare ad avere una linea sulle questioni “eticamente sensibili”. Tuttavia, essa non dovrebbe essere al centro della piattaforma elettorale. In una democrazia sana, i partiti dovrebbero stare rispettosamente ai margini della discussione su questi temi.

Per il Partito Democratico, in particolare, la sconfitta elettorale è un'occasione per liberarsi da due pessimi vizi del passato. Da un lato, quello di assumere che per pronunciarsi sui grandi dilemmi della vita e della morte si debba cercare necessariamente un rapporto privilegiato con la Chiesa, magari attraverso gli esponenti del mondo cattolico al proprio interno. Come mostrano le esperienze recenti, queste mediazioni non autorizzate normalmente falliscono, e lasciano nel pubblico la sensazione che non si abbiano le idee chiare. La Chiesa è ovviamente un interlocutore importante, con cui è bene dialogare alla luce del sole, uscendo dal paradigma del vecchio PCI per cui questi confronti hanno il carattere di una trattativa internazionale. Discutendo di etica, la Chiesa usa il lessico della riflessione morale, che ha contribuito a plasmare, ma su cui non ha proprietà esclusiva. Aristotele viene prima di Tommaso d'Aquino e non è affatto reso obsoleto dal pensiero cristiano. C'è una grande tradizione di riflessione morale non confessionale cui si può attingere, seguendo l'esempio di pensatori come Martha Nussbaum o John Rawls, cui il Partito Democratico dovrebbe guardare con maggiore attenzione. Ciò ci conduce al secondo vizio da cui questo partito dovrebbe liberarsi, quello di assumere che essere liberali comporti sostenere che ciascuno può fare quel che gli pare, purché non danneggi i terzi. Per cui un governo liberale non dovrebbe impicciarsi delle scelte individuali. Basta fare la solita “gita a Chiasso” per rendersi conto che le cose non stanno, e non sono mai state, in questo modo. Liberale non vuol dire “moralmente agnostico”.






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