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MCCAIN BATTE ROMNEY, GIULIANI ADDIO
Il verdetto della Florida in attesa del Super Tuesday



John McCain ce l'ha fatta. Anche senza l'aiuto degli indipendenti, ha sconfitto di cinque punti Mitt Romney. In Florida l'elettorato repubblicano sembra aver rotto gli indugi. Sono loro due i candidati fra cui scegliere. Il senatore dell'Arizona e l'ex governatore del Massachusetts hanno infatti raccolto insieme i 2/3 dei voti. La frammentazione nel GOP comincia a diminuire ed i consensi a convergere su uno/due candidati. Il  vecchio Mac si aggiudica i 57 delegati dello Stato e supera il rivale per 93 a 59.
Per Rudolph Giuliani la Florida rappresenta una vera e propria Caporetto. Il materializzarsi dei suoi incubi peggiori e di quanti, fra i suoi sostenitori, gli sconsigliavano di ignorare i primi scontri elettorali.
McCain l'ha distanziato di oltre venti punti percentuali, inducendolo ad un precocissimo ritiro. Ora l'ex sceriffo appoggerà il senatore dell'Arizona.
Edward Kennedy ha molto lavorare, se uno dei suoi obbiettivi è di portare gli ispanici dalla parte di Obama. In Florida l'operazione non è riuscita. La Clinton si è aggiudicata 0 delegati, ma ha riportato una vittoria nettissima infliggendo 17 punti al senatore dell'Illinois. Ad ogni modo, se fossero servite conferme, il voto nella Terra del Sole ha ribadito che John Edwards non è più della partita. Il candidato alla vice-presidenza del 2004 ne ha preso atto e si è ritirato dalla corsa, contrariamente a quanto dichiarato nei giorni scorsi. La sua decisione sembrerebbe avvantaggiare la Clinton, dato che Edwards si era associato all'appello per un cambiamento della politica americana lanciato da Obama nelle scorse settimane. Ciò lasciava presupporre che i delegati che Edwards avrebbe raccolto da qui ad Agosto, se fosse rimasto in gara, si sarebbero schierati contro la Clinton a Denver. Un alleato in meno per il Kennedy nero.

UN CONGEDO IN TONO MINORE
George W. Bush ha tenuto la sua ultima relazione sullo stato dell'Unione, sotto lo sguardo sospettoso di un Congresso a maggioranza democratica e di un Paese distratto dalla campagna elettorale che designerà il suo successore. Otto anni fa il governatore del Texas aveva presentato la sua candidatura in netto antagonismo rispetto al minimalismo degli ultimi mesi della presidenza Clinton, dedicati a negoziare con la Corea del Nord ed a perseguire vanamente un accordo israelo-palestinese. Ironia della sorte,  Bush sta trascorrendo gli ultimi mesi del suo mandato ad inseguire un improbabile accordo fra il governo Olmert e l'ANP di Abbas, dopo aver raggiunto un faticoso compromesso nucleare con Pyongyang.
Da quello che è emerso nel suo discorso di congedo, pare evidente che Bush abbia deciso di rinunciare ai disegni di grande respiro in tema di sicurezza sociale, fisco ed immigrazione, di concentrare la sua attenzione sui progressi compiuti in Iraq dopo l'incremento della consistenza del contingente americano e ribadire l'intento di contribuire al raggiungimento di un accordo epocale, quanto impervio, tra israeliani e palestinesi entro la fine del suo mandato. Insomma, un drastico ridimensionamento della verve riformista, in senso conservatrice, che aveva caratterizzato la fase finale del suo primo mandato e l'inizio del second term. Del resto la vittoria democratica alle elezioni di mid term nel 2006 ha spuntato le armi del presidente, che se ha potuto tener testa al Congresso nella gestione della campagna irachena, ne è stato limitato nelle scelte di politica interna, ad esempio in materia d'immigrazione. In quel caso, una sua proposta di sanatoria dei clandestini è stata osteggiata dal suo stesso partito. Al presidente non è restato che ribadire il proposito di consolidare ed estendere alcune misure già decise in passato: stanziare 30 milioni di dollari in vari programmi anti-AIDS in Africa, rilanciare il programma educativo No Child Left Behind, intensificare gli aiuti esteri in favore dello sviluppo di tecnologie pulite e aumentare l'erogazione di fondi statali agli enti religiosi.
Ora il presidente uscente ha davanti pochi mesi per dar forma alla sua eredità politica, per ora legata alla lotta contro il terrorismo e alla contrapposizione manichea ai nemici dell'America, ma anche alla sua rivisitazione dell'interventismo umanitario di wilsoniana memoria. In patria il suo nome rimane legato al tentativo di operare una rivoluzione culturale di stampo conservatore. Il giudizio, stando ai suoi bassi indici di popolarità negli USA ed al deterioramento, soprattutto nel biennio 2003-04, dell'immagine americana nel mondo, parrebbe essere alquanto negativo. Ma, probabilmente a ragione, Bush non si preoccupa dei contemporanei e si rimette alla prospettiva storica. Anche l'idolatrato Ronald Reagan nel 1987 conobbe picchi di impopolarità in seguito all'affaire Iran-Contra salvo venir rapidamente riabilitato. Frank J. Donatelli, ai tempi collaboratore di Reagan, chiosa "Quello che il presidente Bush potrebbe augurarsi e che la storia lo riabiliti al pari di Harry Truman." Truman venne accusato di aver trucidato affrettatamente centocinquantamila civili giapponesi ad Hiroshima e Nagasaki. Il successore di Franklin D. Roosevelt  si difendeva, ricordando di aver voluto in quel modo risparmiare centinaia di migliaia di giovani vite americane. Più recente...


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