Da una parte, infatti, ci sono i falchi della sicurezza nazionale che denunciano I pericoli della costante (e crescente) alluvione di denaro che ogni anno gli Usa inviano al Golfo persico. Dall’alro, ci sono gli ambientalisti che, rafforzati dalle convergenti risultanze empiriche, ammoniscono sui pericoli del riscaldamento globale. E i consumatori? Loro piangono i continui aumenti alla pompa di benzina. Energy and Environment Scholar del Foreign Policy Studies in un recente policy paper curato per la Brookings che il consenso politico sui pericoli per la sicurezza e l’economia americane derivanti della dipendenza dal petrolio straniero è totale. È un consenso che lambisce i poli estremi dell’universo ideologico statunitense – per intenderci, dal Presidente George W. Bush al Presidente del Democratic National Committee, Howard Dean - echeggiando il grido ufficiale lanciato dai partiti Repubblicano e Democratico. Così infatti dicono le cifre: oggi come una generazione fa, l’America dipende dal petrolio strainero per il 97% del carburante che mette in moto il suo corposo “parco-auto”, e nessun indicatore, tra quelli più scientificamente monitorati, suggerisce correzioni di sorta a quell’andamento, nessun rafforzamento dell’incidenza delle fonti alternative sui consumi di carburante né dell’innovazione tecnologica sulla compatibilità ambientale dei prodotti energetici. Il petrolio – osserva lo studioso di politiche energetiche - da strumento produttivo è diventato una topic issues capace di definir il rapporto tra gli Stati, orientare le relazioni internazionali e provocare danni irreversibili al pianeta. Cionostante il suo successo planetario non viene meno, anzi è persino in crescita. Lo stallo in reatà ha un fondamento tutt’altro che debole: è la conseguenza di una difficoltà a conciliare le misure da prendere con gli obiettivi aupicati. La gran parte dell’opinione pubblica, addirittura l’85%, si dice infatti contraria all’introduzione di nuove tasse sui carburanti. Quale leader rischierebbe una così massiccia ostilità popolare per difendere una politica energetica più autonomista ed eco-friendly? Eppure – si rileva nel lavoro di ricerca – la convergenza di una serie di fattori sembra proprio favorire il deteminarsi delle condizioni più clementi ad una trasformazione radicale: aumenta infatti il consenso a livello internazionale, progrediscono le potenzialità di intervento offerte dalle nuove tecnologie, ed aumenta l’interesse al coinvolgimento dei privati. Naturalmente, osserva l’autore, la priorità non potrà essere solo enunciata. Dovrà essere perseguita concretamente, attraverso la pianificazione di una strategia coerente eMa - ammonisca Sandalow – che non si ceda ad un troppo facile entusiasmo. Le resistenze al cambiamento, infatti, sono forti, diffuse e trovano ragione nello stesso sistema economico americano. Vi è poi l’elemento legato al ciclo di vita delle autovetture ed al range necessario a smaltirle, qualora venisse introdotta davvero una innovativa offerta di auto meno inquinanti. Vi è infine il condizionamento delle politiche economiche americane dell’utimo secolo, fondate sull’incentivo all’impresa – ed al relativo consumo energetico – che diventa difficile ore reindirizzare verso un altrove che non si sa bene dove localizzare. Con estrema puntualità, l’autore ci aggiorna dei settori di ricerca tecnologica su cui sarebbe bene puntare l’attenzione. Naturalmente questo presuppone il coraggio del decisore, la preparazione del policymaker e la visione progettuale.
Link esterno: www.brook.edu/views/papers/fellows/sandalow20070122.htm
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