ECONOMIA. GRAZIE AI FONDI SOVRANI, CINA E RUSSIA POTRANNO CONTOLLARE LE IMPRESE EUROPEE
Grazie ai sovereign wealth funds Russia e Cina fanno "shopping finanziario" nel mondo usando le enormi riserve di denaro accumulato negli scambi commerciali
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Francesca Morandi
Con i sovereign wealth funds Russia e Cina fanno “shopping finanziario” nel mondo usando le enormi riserve di denaro accumulato negli scambi commerciali. Si tratta di fondi di investimento, controllati dai governi, che sono utilizzati per investire in azioni, obbligazioni e immobili. I fondi sovrani sono detenuti soprattutto da Stati produttori di petrolio come gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar, il Kuwait, la Norvegia e la Russia. Tra i primi ad aprire la strada a questi strumenti finanziari è stato Singapore che, attingendo a un ampio surplus fiscale, ha creato Temasek, un fondo che opera prevalentemente nelle imprese del Sud-Est asiatico. Tra i fondi sovrani di origine più recente vi è invece quello cinese che oggi conta su un portafoglio di 200 miliardi di dollari e, secondo il Peterson Institute of International Economics, è destinato a diventare il numero uno mondiale tra i sovereign wealth funds.
A inquietare Europa e Stati Uniti è il possibile utilizzo di questi fondi da parte del capitalismo di Stato cinese e russo che godono di grandi capacità finanziarie e coperture politiche. In Russia e Cina i sovereign wealth funds sono infatti fondi a partecipazione pubblica e possono, attraverso acquisizioni di quote azionarie e obbligazionarie, diventare strumenti nelle mani dei governi con la finalità di condizionare i processi decisionali delle imprese nelle quali diventano azionisti. Con potenziali implicazioni politiche, soprattutto nel caso in cui le aziende coinvolte siano di rilevanza strategica nazionale come le industrie dell'energia o gli istituti di credito.
A far emergere il peso dei fondi sovrani è stata la crisi dei mutui subprime che ha messo in difficoltà molte banche americane come Citigroup, Barclays, Merrill Lynch e Ubs nelle quali, come si è rilevato, erano affluiti capitali provenienti dai sovereign wealth funds.
I governi di Unione europea e Stati Uniti stanno studiando misure per difendere i mercati europei da ipotetiche “invasioni finanziarie” che potrebbero essere frenate ponendo restrizioni agli investimenti da parte dei fondi sovrani. L'allarme in Europa è scattato lo scorso anno quando la Commissione europea ha accolto le richieste del cancelliere tedesco Angela Merkel e del presidente francese Nicolas Sarkozy, per elaborare un «approccio comune» volto a controllare le acquisizioni sui mercati europei dei fondi stranieri a partecipazione statale. «Questi investitori pubblici sono un elemento del tutto sconosciuto di fronte ai quali non si può reagire come se fossero fondi normali o capitali privati qualsiasi», ha affermato Olivier Drewes, portavoce del commissario europeo al mercato interno Charlie McCreevy, lasciando intendere che questi strumenti finanziari sono il braccio operativo delle Banche centrali di Cina e Russia che, al contrario di quanto avviene Ue e Usa, non sono organi indipendenti.
Per Washington e Bruxelles la sfida è quella di impedire che fondi sovrani stranieri, sotto le finte spoglie del profitto finanziario, raggiungano posizioni strategiche e diventino arma di ricatto politico nelle mani di Mosca e Pechino, senza tuttavia dover intraprendere guerre commerciali o alzare barriere protezionistiche con i due Paesi.
Alcuni analisti, soprattutto americani, minimizzano la minaccia dei fondi sovrani, se non addirittura la negano, come il segretario al Tesoro americano Henry Paulson secondo il quale i fondi sovrani sarebbero un vantaggio poiché «contribuiscono ad aumentare i prezzi delle azioni e a ridurre la volatilità». Parlando al New York Times Paulson ha però sottolineato la necessità di istituire un codice di condotta che assicuri le finalità finanziarie dei fondi escludendo secondi fini politici.
I sovereign wealth funds salverebbero addirittura gli Stati Uniti da un aggravamento della crisi recessiva in corso. Lo sostiene Ron Paul, membro del Congresso americano, che, proprio davanti all'assemblea Usa, lo scorso marzo, ha affermato che «i fondi sovrani dovrebbero essere accolti con favore in quanto contribuiscono alla stabilità dell'economia americana». Secondo Paul, infatti, «senza l'iniezione di capitali stranieri provenienti dai sovereign wealth funds, i risultati della crisi dei mutui subprime sarebbe stata assai peggiore per molte compagnie finanziarie».
Noncurante del fatto che gli Stati Uniti debbano fare i conti anche con eventuali interferenze politiche dei fondi sovrani provenienti dai Paesi del Golfo Persico (come il gigantesco Abu Dhabi Sovereign wealth fund che ammonta a 875 miliardi di dollari), il congressman ritiene che i fondi sovrani attirino «capitali stranieri che sono necessari per evitare il completo collasso dei maggiori attori dell'industria americana, con conseguenze catastrofiche per tutta l'economia». Paul rileva che i creditori esteri degli Usa «sono stanchi di acquistare dollari deprezzati, vogliono fare acquisti tangibili e fruttuosi, che oggi sono offerti dalle azioni nelle compagnie americane».
Di opinione diversa è il presidente dell'Eurogruppo dei ministri delle Finanze europei e attuale primo ministro del Lussemburgo Jean Claude Juncker, che qualche settimana fa ha criticato senza mezzi termini i fondi sovrani russi: «Non è accettabile che, mentre il fondo affiliato al governo russo si sta facendo largo in Europa, le compagnie europee sono in una situazione nella quale sono impossibilitate a svolgere le stesse attività in Russia (…) Dovrebbe essere rispettato un principio di reciprocità. E' pericoloso lasciare tutto al mercato, è necessario prendere una forte azione politica per rafforzare la sorveglianza e assicurare la trasparenza nei mercati finanziari».
Al di là delle differenti valutazioni, risulta evidente che lo “shopping finanziario” di Cina e Russia prosegue, almeno per il momento, senza troppi ostacoli. Nell'ultimo anno e mezzo il fondo sovrano China Investment Corporation, con una dote di 200 miliardi di dollari, ha investito negli Stati Uniti l'equivalente di 2,72 miliardi di euro nel private equity Jc Flowers, 3,5 nella banca centrale Morgan Stanley e 2,2 nel fondo finanziario Blackstone. Negli ultimi quattro anni, nel corso dei quali il costo del petrolio grezzo è cresciuto a ritmi sostenuti, la Russia ha accumulato invece 157 miliardi di dollari da un fondo petrolifero, uno dei 40 fondi sovrani con cui Mosca investe nel mondo. Secondo il New York Times uno dei nuovi fondi russi, chiamato Reserve Fund, conta su 125 miliardi di dollari e avrà lo scopo iniziale di tutelare il budget di Mosca da eventuali brusche diminuzioni del prezzo del petrolio. La "campagna acquisti" di Mosca è dunque appena cominciata.
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