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Un figlio di Putin

di Valentina Valota



(pagina 3)

... E la varietà di idee, partiti, candidati? Altra nota dolente per un paese che si veste di democrazia ma ha la pelle escoriata da un rinnovato autoritarismo revanchista.

L’orologio del Cremlino scandisce il count down delle elezioni presidenziali russe, previste per il 2 marzo 2008. Putin, ormai, ha i giorni contati e, come tutti i re, gli zar, i dittatori, gli imperatori, i despota in scadenza, sta preparandosi per imporre alla nazione un candidato da eleggere. O, almeno, così sembrerebbe.

Nave scuola di Putin (senza mai dimenticare la dimestichezza con metodi poco ortodossi imparati negli anni con divisa del Kgb), il suo predecessore: Boris Eltsin, fondatore di quella che viene chiamata la “prima repubblica russa”. Presidenza ambigua quella di Eltsin, di immense speranze di rinnovamento politico, economico, civile e intellettuale da un lato, e di fangosi, obliqui ed equivoci movimenti di denaro in mani troppo conosciute o troppo sconosciute. Sotto la sua ala si è arricchita una folta schiera di gente strana, riciclata, a metà strada tra la vecchia burocrazia statale ex comunista, la mafia dell’economia sommersa dei tempi sovietici, e giovani spregiudicati che colgono l’occasione dei tempi che cambiano. E l’occasione fa l’uomo ladro. Sarebbero stati questi nuovi oligarchi, grufolanti ai piedi del nuovo potere russo, ad aver puntato il dito sull’allora primo ministro Vladimir Putin, da quel momento in poi loro uomo per la candidatura alle presidenziali. Eltsin, intanto, aveva le mani occupate a tenere bottiglie di vodka e soldi infami, e, così, gli era scappato di mente che le speranze di libertà e benessere di un popolo intero e immenso erano in lui.

Morale: senza suscitare nessuna sorpresa, nel maggio 2000 Putin diventa il Presidente della Federazione di tutte le Russie (se possibile, preciserebbe lui puntiglioso, anche oltre). Uomo scelto dai nuovi oligarchi, anonimo, mai eletto prima, Putin avrebbe dovuto vestire i panni del prestanome, il burattino nelle mani della parvenu aristocrazia russa delle privatizzazioni selvagge. Ma bastò un anno di presidenza perché il nuovo zar mandasse all’aria tutti i piani dei suoi burattinai. Vladimir Vladimirovich, osannato dalla sua nuova corte costituita da ex-colleghi del Kgb e amici della nativa San Pietroburgo, già nel 2001 ha dato il via all’epurazione di coloro che gli avevano consegnato le sorti della Russia. Come fa la vedova nera col maschio che l’ha fecondata. Tra loro Boris Abramovich Berezovskij, oggi esule a Londra, nel cui ufficio aleggia ancora il fantasma del suo amico Litvinenko, l’ex spia russa redenta spirata con il nome di Putin tra i denti dopo esser stato avvelenato con il polonio 210. Su Berezovskij pendono una serie infinita di accuse e dalla Russia arrivano a Londra costantemente richieste di estradizione. Londra la nega, e Berezovskij, col suo colossale patrimonio, prosegue una guerra personale contro Bruto-Vladimir, figlio traditore, a colpi di finanziamenti di campagne politiche e di stampa all'estero e in patria, e, si dice, dei ribelli ceceni.

Putin, memore che certe cose in Russia si possono fare impunemente se si ha il potere in mano, sarà colui che deciderà chi dovrà essere eletto in Russia quando lui sarà costretto ad abbandonare l’ufficio. Ma ancora non ha rotto la riservatezza e di nomi certi non ce ne sono.

In realtà, ci sono stati tentativi da parte di oppositori di candidarsi, ma sono cose queste che nella “democrazia” russa suonano un po’ irritanti. C’è Michail Kasyanov, ad esempio, capo del governo nominato ...



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