(pagina 2)
... ne per insistere nell’inchiesta sulla compromettente partnership finanziaria tra lo stesso Clinton e il discusso miliardario Ron Burkle.
Ma nel “Fort Know di Little Rock”, come dei disillusi ricercatori hanno definito la Clinton library, quello dei contributi sensibili non è il solo oggetto di preoccupazione. Nonostante il rigore della procedura sulla gestione degli Archivi Nazionali, le carte sul periodo di Clinton alla Casa Bianca vengono fuori molto lentamente, in parte perché Bill Clinton si è avvalso del diritto a mantenere riservate le comunicazioni tra lui e la moglie, fino al 2012.
Quando lo scorso ottobre Russert chiese a Hillary Clinton se avesse intenzione di togliere quel vincolo, lei ancora una volta ha evitato di rispondere passando la patata al marito: “Non è una decisione che spetta a me prendere.”
Giusto, ma se la sua candidatura vuole essere limpida come dice, allora è arrivato il tempo per l’altra metà di Billary di prendere quella decisione.
È da questo, infatti, che dipende la credibilità del cuore politico della campagna Clinton, il sistema sanitario.
Nel già citato colloquio con Russert, Hillary Clinton ha affermato che “per quanto ne sappia, tutti i documenti su quanto era stato fatto per la riforma sanitaria, sono già disponibili.”
Ma Michael Isikoff di Newsweek ha invece dimostrato che così non è. Oltre tre milioni di documenti sono infatti ancora tenuti in ostaggio. Per quanto rapida possa essere la procedura, tuttavia, chi detiene il potere di approvare la pubblicazione di ciascun documento è il fedelissimo clintoniano Bruce Lindsey.
Le persone non cambiano mai. Dopo aver sfiorato la cima, Bill Clinton ricade nel precipizio. Così, quando si lamenta del fatto che la stampa è stata molto generosa con Obama, e piuttosto severa con i Clinton, sembra quasi voler sfidare la sorte, dal momento che c’è ancora molto da scrivere sul business post-presidenziale della famiglia. E quando dichiara – come ha fatto lo scorso lunedì – “qualunque cosa farò dovrà essere totalmente alla luce del sole”, è come se prendesse la rincorsa per una caduta.
“I Repubblicani – ha spiegato Hillary Clinton a Obama – non avranno alcun vantaggio dall’andare in giro a interrogare la gente. E forse è così, ma i Repubblicani sono furbi abbastanza da non cominciare a porre quelle domande almeno finché non sarà lei ad aggiudicarsi la nomination.
Non tutti i Repubblicani, tuttavia, sono così furbi da riconoscere, nel caso di una vittoria di Hillary Clinton, il potenziale di John McCain. Il quale è come un bazooka contro ciascun argomento addotto a sostegno della candidatura Clinton.
Nell’ipotesi di una competizione McCain vs Billary, i Democratici sarebbero costretti a sacrificare proprio quello che l’elettorato desidera con più forza, il cambiamento. Il partito si troverebbe così in un deja vu degli Anni 90. E l’invito della Clinton a “mettere alla prova” i suoi 35 anni esperienza non funzionerebbe più. Se solo ci provasse, infatti, McCain farebbe subito uno spot partendo proprio lì dove quei 35 anni sono cominciati, ovvero quando, nella primavera del 1973, lui veniva liberato dopo cinque anni di reclusione al Hanoi Hilton, mentre Billary era ancora a bivaccare alla Facoltà di Legge di Yale.
Può mai la Clinton pretendere di avere requisiti migliori come “commander in chief” di uno che è stato eroe di guerra e che è attualmente un comandante? Ne dubito.
Il problema N.1 della politica estera, il ritiro dall’Iraq, dovrebbe dare gioco facile ai Democratici. Persino il pubblico che ha assistito lo scorso giovedì al dibattito repubblicano di Boca Raton, si è infiammato agli appelli anti-guerra di Ron Paul. Ma per la Clinton, il problema è l’atteggiamento tenuto sino ad ora. Come McCain, infatti, anche lei ha votato per la guerra nel 2002, ed ha continuato a difendere quella scelta ancora nel febbraio 2005 quando, dalla Green Zone, dichiarava che molte cose in Iraq “funzionavano ormai piuttosto bene”.
Solo a novembre del 2005 ha cominciato ad esprimere quel serio rammarico che da molto tempo pervadeva il suo stesso partito. Quando allora McCain la accuserà di invocare la “resa” per semplice opportunismo, sarà proprio quella ambiguità della senatrice Clinton a dargli ragione.
Qualora, inoltre, lo sfidante fosse McCain, Billary non potrebbe neppure appellarsi alla paventata cospirazione della destra. Rush Limbaugh e Tom DeLay, infatti, odiano McCain almeno quanto odiano i Clinton. E lo odiano per le stesse ragioni che fanno di McCain il favorito tra gli indipendenti ed i Democratici occasionali: il suo occasionale (e spesso moderato) discostarsi dall’ortodossia repubblicana rispetto ai temi dell’immigrazione, della...