Quando si affronta la complessità del sistema politico-culturale turco, si tende a ridurre il tutto in termini di scontro tra “islamisti” e “laici”, tra custodi della tradizione religiosa e paladini della modernità democratica. Ma è davvero così?
Il direttore della sede di Ankara del German Marshall Fund, Suat Kınıklıoğlu, propone un ragionamento più articolato che suggerisce una lettura diversa del “conflitto ideologico” in corso in Turchia negli ultimi anni: il conflitto tra chi aspira ad una democrazia più aperta e trasparente e chi invece antepone la sopravvivenza dell'apparato statale ai rappresentanti del popolo e la burocrazia ai cittadini, ovvero tra la nuova elite, estranea alle reti di consenso e potere costruite attorno agli apparati burocratici, e i depositari di quel potere, impegnati in una difesa senza quartiere delle poltrone cruciali al mantenimento del proprio controllo sull'insieme di istituzioni e politica.
“In Turchia – scrive lo studioso – è in corso una trasformazione epocale. Si sta cioè assistendo all'implosione finale della struttura statale elefantiaca che ha nei decenni consolidato il proprio controllo sui singoli aspetti della vita individuale dei cittadini, a favore di una forma di democrazia normale.”
Una trasformazione, tuttavia, non priva di effetti collaterali. “La principlae complicazione – spiega Kınıklıoğlu – è rappresentata proprio da quella forza politica che ha assunto la guida del processo di modernizzazione, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, AK.” Il Partito infatti deve conciliare la prospettiva di una radicalizzazione democratica con la necessità di garantire al proprio establishment il potere ottenuto con le prassi del sistema “chiuso” che ha governato sino ad'ora il paese. È, questa, una delle ragioni per cui l'Ak ha inteso cavalcare la contrapposizione ideologica con i radicalismi islamici invece di proporre un dibattito sui temi “core” della trasformazione liberale del paese. L'obiettivo infatti è quello di garantirsi l'occupazione di qullo spazio politico “democratico” attorno a cui raccogliere le forze progressiste della società turca più avanzata.
Nonostante il contributo dei media per la più ampia diffusione del dibattito pubblico sui temi “concreti” della politica nazionale – dall'economia alla sicurezza - l'opinione pubblica più vasta rimane tuttora intrappolata nel dualismo tradizione/modernità, ovvero in uno scontro tra appartenenze irriducibili che certo non giova al progresso del paese. Si riconosce tuttavia un timido, ma significativo, intensificarsi della partecipazione a livello popolare e del consenso sempre maggiore riservato dai circoli meno elitari agli aspetti meno “ideologici” delle questioni. Insomma, sostiene l'autore, l'opinione pubblica turca sembra ben più capace di frequentare il buon senso comune di quanto non lo siano le leadership politiche. E secondo lo studioso questa tendenza si rifletterà sulle scelte dei cittadini turchi chiamati nei prossimi mesi ad eleggere i propri nuovi rappresentanti.
Si tratta di un banco di prova decisivo per la politica turca, dal quale dipenderà la scelta di perpetuare un sistema paternalista ed autoreferenziale o aprire il paese ad una nuova fase di rigenerazione democratica. “La vita per un intellettuale turco non è mai stata facile – chiosa l'autore. Ma oggi – conclude – il nostro compito è quello di essere dalla parte giusta della storia.”