Sulla futura nuova leadership americana vengono, infatti, riposte le aspettative di quanti credono che, dal prossimo novembre – quando finalmente si andrà al voto negli States – ci risveglieremo tutti in un mondo nuovo in cui le divisioni, le guerre, le insidie globali saranno spazzate via d'un sol colpo dalla nuova faccia presidenziale.
Una così sconsolante profezia non viene da ambienti repubblicani, ma è quanto ha osservato Parag Khanna, il consulente per la politica internazionale del candidato democratico alle primarie, Barack Obama, in un'intervista rilasciata al New Statesman alla vigilia della Conferenza internazionale organizzata a Londra dalla Fabian Society, sabato 19 gennaio.
Il futuro Presidente degli Stati Uniti, pertanto, chiunque esso sarà, si troverà in dote un edificio eroso dalle fiamme, e prima di costruirne uno nuovo – o promettere di farlo - sarà costretto a soffocare le fonti che continuano ad alimentare i focolai.
Reclutato da Obama per contribuire a definire una piattaforma sensibile alla volontà di cambiamento espressa dalla nuova generazione democratica che ne sostiene la candidatura, Khanna ha elaborato, innanzi alla platea laburista, un ragionamento partendo da un punto di vista originale. “Il mondo – sostiene - è già in movimento. L'Unione Europea, in continua espansione, sta già infatti costruendo un ordine post-atlantico, euro-centrico, che va dall'Irlanda all'Azerbaijan ed arriva al Nord Africa attraverso le pipeline, ai paesi del Golfo attraverso accordi di libero scambio, ed alla Cina con gli accordi economici stipulati alla pari”.
“In un contesto simile – osserva Khanna – il compito del prossimo leader Americano non è quello di pretendere che gli Usa possano o vogliano continuare a comandare il mondo. Piuttosto – continua – il prossimo Presidente dovrà dedicarsi alla politica interna, all'immigrazione, alla sanità, all'istruzione, alle infrastrutture – settori, questi, dove mancano il consenso politico, la disponibilità finanziaria e la competenza politica.”
Secondo lo stratega di Obama, la cosa da fare laggiù è pianificare l'uscita, negoziando una presenza continuata delle truppe statunitensi che, a suo dire, sarà quanto suggerirà il Pentagono. Poi, naturalmente, c'è l'assoluta necessità di risollevare l' Afghanistan e contribuire a stabilizzare il Pakistan.
Solo in tal modo, è il suo ragionamento, si potranno ricostruire le relazioni bilaterali con i paesi europei e dell'America Latina e così rinnovare le motivazioni – politiche, ideali, economiche - per la comune cooperazione ad affrontare le priorità del mondo. E tra queste, vi è senz'altro l'Iran. “La miscela iraniana composta da petrolio, terrorismo, armi nucleari, tecnologia e investimenti, è talmente esplosiva che solo con il bastone europeo e la carota americana, e la volontà della Cina di rimanerne fuori, si potrà sperare in una soluzione.”
“Il 20 gennaio 2009 – insiste Khan – l'America sarà la stessa di oggi, sarà lo stesso paese che ha scompigliato l'Iraq ma che non riesce a controllare Hugo Chavez.”
Per approfondire i temi del dibattito promosso dalla Fabian Society sull'America dopo Bush, si legga l'articolo sulla Conference “Change the World”.