Il Presidente francese, preoccupato per le conseguenze economiche del caro-Euro sulla capacità competitiva delle imprese nazionali europee, ha infatti come è noto sostenuto la necessità di riportare nell’alveo della decisione politica le scelte di politica valutaria attualmente governate dall’istituto bancario centrale.
“L’euro forte – scrive lo studioso - ha portato indubbi benefici ai paesi della moneta unica, avendo abbassato i prezzi delle importazioni ed aumentato il potere d’acquisto dei consumatori”. Contrariamente a quanto sostenuto da Sarkozy, quindi, la forza acquisita dalla valuta europea avrebbe, in realtà, ridotto e non aumentato l’inflazione, consentendo inoltre alla Bce di mantenere i tassi di interesse al di sotto delle attese.
Le accuse contro la Bce, infatti, sarebbero infondate dal momento che una banca centrale non può occuparsi, contemporaneamente, del tasso di inflazione e del tasso di cambio.
Analogamente infondato sarebbe l’invito lanciato da Sarkozy alla volta della più grande economia del mondo, gli Usa, ad assumersi la propria responsabilità rispetto al controllo dei tassi valutari. Anche qui, secondo Whyte, Sarkozy sarebbe fuori strada.
No, questa non sarebbe stata affatto una scelta sensata, sostiene l’autore, che ricorda inoltre come il dollaro sia andato perdendo valore a causa della necessità da parte degli Usa di attrarre il capitale necessario a finanziare il deficit della propria bilancia di pagamento.
Le economie asiatiche vogliono mantenere basso il valore delle proprie valute sia per garantire al piatto delle esportazioni di pesare più di quello dell’import e, in secondo luogo, per scongiurare una nuova crisi dei tassi di cambio, come quella che nel 1997 colpì i paesi dell’Est asiatico. Da qui, la scelta di tutelarsi, accumulando ingenti riserve di valuta straniera.