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Understanding Iran: People, Politics and Power

Di Hugh Barnes e Alex Bigham

In Understanding Iran, i ricercatori di FPC, Hugh Barnes e Alex Bigham, muovono da una apparofondita analisi – storica, economica, politica – che punta a mettere in evidenza le peculiarità del paese soprattutto alla luce della situazione odierna. “L’Iran - si ricorda nel pamphlet - ha una sua unicità che non è data solo dalla sua lingua ufficiale, il Farsi, che è appunto una lingua indoeuropea. Unico è anche il ruolo giocato in Medio Oriente da un Iran potenza imperiale e quindi causa di rivalità tra l’Est e l’Ovest.”Afghanistan e l’Iraq e dalle prospettive della proliferazione nucleare.“La rivoluzione islamica del 1979, da cui nasce l’Iran di oggi, e la repubblica post-komeinista – scrivono gli autori – agisce come se ci fosse ancora uno stato rivoluzionario, estraneo all’ordinamento internazionale. Molti, tra autorevoli esponenti religiosi conservatori e ufficiali di polizia, mantengono il controllo dei nodi centrali del potere, inclusi quello militare, i servizi di intelligence ed il potere giudiziario.” Non è quindi raro il ricorso a mezzi sotterranei per escludere i rivali dalla gestione del potere e dagli apparati che guidano la politica estera.

  dipenderà dalla sua abilità politica nel gestire le contraddizioni che sorgono dal perseguimento di regole teocratiche e democratiche e tra le politiche del regime e le aspettative dei cittadini.

Mahmoud Ahmadinejad, i suoi sostenitori della Guardia Rivoluzionaria e le forze paramilitari Basijis, e i fondamentalisti messianici che si ispirano agli insegnamenti dell’Ayattollah Mohammad Taqi Mesbah-Yazdi. Dall’altra, il movimento democratico iraniano e quell’insieme di forze, tra le quali Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, leader dell’ Expediency Council, che sono prosperate nello status quo precedente l’ascesa di Ahmadinejad.”Nel pamphlet si ritiene che la minaccia alla sicurezza ed alla libertà nazionale rappresentata da Ahmadinejad stia contribuendo ad unire i gruppi di opposizione in nome del pericolo per l’Iran costituito da uno scontro con l’occidente. Non si può tuttavia affermare l’esistenza di una netta separazione tra il regime ed una popolazione disillusa. Sarebbe quindi rischioso scommettere su una più o meno rapida sollevazione popolare contro il regime, perché a perderci potrebbero essere proprio quelle forze democratiche che l’occidente si prefigge di aiutare.

 

si propone quindi il compito di guidare nella lettura del paese e, con il supporto di tabelle e diagrammi, fornisce una mappa al potere iraniano, politico e tecnocratico. Si va quindi dall’analisi della geografia e della popolazione, a quella della struttura del regime, all’economia, alle caratteristiche della democrazia iraniana, alla condizione della stampa e dell’opposizione, sino alle policy: la politica estera, la politica militare e la politica nucleare.

Troppo semplicisticamente si è infatti indotti a classificare la struttura politica iraniana distinguendo tra conservatori e riformisti– questi ultimi formati dalla destra modernista, la sinistra islamica e i tecnocrati ed uno sparuto gruppo di intellettuali e dissidenti, di nazionalisti e studenti. “Ma la realtà dell’Iran contemporaneo – scrivono gli autori -Secondo FPC l’unica via perseguibile è la democrazia. Una democrazia non imposta – come in Iraq – ma costruita a partire dal dialogo, dai rapporti economici e culturali sì da agire da catalizzatore per il rafforzamento della società civile iraniana. Ma se l’obiettivo è la democrazia, si nota nel paper, va tenuto conto del fatto che in una certa forma la società iraniana è democratica come non lo è la maggior parte dei paesi mediorientali.   ha il dovere ed il potere di affrontare la questione ponendo innanzi tutto il rispetto dei diritti umani.

E tuttavia pare evidente il fallimento della politica di contenimento timidamente avanzata dall’Europa ed ambiguamente sostenuta dalla Russia. A marzo 2006 l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ha finalmente deciso di riportare l’Iran al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, indicando le numerose violazioni agli accordi di salvaguardia inclusi nel Trattato di Non Proliferazione ma appena poche settimane dopo, l’11 aprile, l’Iran ha ufficialmente annunciato di aver realizzato uranio arricchito al livello del 3,5%, un tasso adatto ad usi civili. È improbabile che il Consiglio di Sicurezza riuscirà a risolvere la questione così come improbabile è il ricorso alle sanzioni, dal momento che Cina e Russia difficilmente accetteranno di non porre il veto. Se a questo punto l’Iran decidesse di intraprendere la via seguita tre anni fa dalla Corea del Nord, cioè di ritirarsi dal Trattato di Non Proliferazione ed espellere gli ispettori dell’AIEA, si determinerebbe una situazione altamente pericolosa nella quale il ricorso all’intervento militare si profilerebbe come assai possibile.

  - conclude quindi il direttore di FPC – è trovare il modo di raggiungere quell’obiettivo.”  

è direttore del programma Democrazia e Conflitto di Foreign Policy Centre. Esperto corrispondente dall’estero, ha coperto la guerra del Kosovo per il Financial Times, il New Statesman e l’Independent on Sunday e la guerra in Afghanistan per il Sunday Times. Ha lavorato a Mosca come corrispondente dell’ Agence France Presse ed è autore di diversi libri.

 Alex Bigham  stakeholders e media per FPC.  



Link esterno: www.fpc.org.uk
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