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The Terrorism Index

Gli esperti Usa ottimisti sui risultati della lotta al terrore

I progressi in Iraq sono un segnale importante dei risultati conseguiti nella lotta al terrorismo. Questo, il dato che emerge dal sondaggio condotto dal Centre for American Progress in collaborazione con Foreign Policy, tra i massimi esperti di relazioni internazionali che, per la prima volta dall’11 settembre, si dicono ottimisti sulle prospettive della guerra al terrorismo globale e della sicurezza nazionale. Negativo, invece, il giudizio degli esperti sulla strategia dell’Amministrazione Bush rispetto alle principali minacce alla sicurezza degli Usa, dall’Iran al Pakistan alle politiche energetiche.
Il terrorismo non è più la principale preoccupazione degli americani. Ciò tuttavia non rende meno reale la minaccia alla sicurezza globale ancora rappresentata dalla rete internazionale del terrore né cancella il fatto che le guerre in Irak e Afganistan vedono gli Usa impegnati ad un livello mai così elevato e prolungato dai tempi della guerra in Vietnam. Sebbene l’opinione pubblica si dimostri poco consapevole o interessata alla lotta al terrore, per la prossima amministrazione Usa la guerra al terrorismo continuerà a rappresentare una priorità assoluta.
Il Terrorism Index è stato redatto da Foreign Policy e dal Center for American Progress, con i dati raccolti da un sondaggio condotto su un panel di oltre 100 tra i massimi esperti di sicurezza nazionale statunitensi – Repubblicani e Democratici. Realizzato per la prima volta nel 2006 – e poi nel febbraio e nel novembre 2007 - l’Index fornisce ai policymakers uno strumento di valutazione indipendente sui risultati della politica americana degli ultimi anni, e finalizza le opzioni strategiche che gli esperti giudicano prioritarie per conseguire la vittoria definitiva sul terrorismo globale.
Tra le personalità intervistate, consulenti del governo e della Cia, alti funzionari della Casa Bianca, accademici e i più autorevoli professionisti dell’intelligence Usa.
Il mondo è ancora molto insicuro, ma per la prima volta i progressi registrati in Iraq rappresentano, per la maggioranza degli intervistati, un segnale da valutare con ottimismo. Lo scorso anno, per il 91% del panel le minacce alla stabilità globale erano in ascesa. Oggi i pessimisti non sono che il 70%.
Analogamente, diminuisce di circa 30 punti la quota di esperti che ritiene gli Usa lontani dalla vittoria nella lotta al terrore, dall’83% del 2007 si è passati al 55 di oggi.

Per il 60% degli intervistati, inoltre, il rilancio dell’iniziativa militare in Iraq ha prodotto risultati positivi. Un dato, questo, indicativo dell’inversione di tendenza: un anno fa, il 53% degli esperti giudicava infatti “fallimentare” l’offensiva messa in campo dagli Usa in Iraq.
Un giudizio positivo è espresso anche rispetto alla strategia Usa in altre aree sensibili per la sicurezza globale, come la Corea del Nord. Rispetto ai dati raccolti nel primo Terrorism Index, infatti, si registra una crescita di oltre 35 punti tra quanti ritengono che la strategia americana nella penisola coreana abbia rafforzato la sicurezza degli Stati Uniti. Ed una valutazione analoga viene espressa rispetto alla politica Usa nei confronti di Pechino.
Permane tuttavia la preoccupazione degli esperti sull’efficacia della politica energetica e la strategia globale di lotta alle centrali del terrore, in particolare in Afghanistan. Per l’80% degli intervistati, infatti, gli Usa si sono concentrati troppo sull’Iraq mentre diminuisce di circa 30 punti rispetto al 2006 la quota di quanti giudicano positivo per la sicurezza americana l’impegno delle forze Usa in Afghanistan, dove i risultati sul campo sono considerati inferiori alle aspettative per la quasi totalità del panel.
L’80% degli esperti intervistati, inoltre, giudica negativamente la politica americana rispetto all’Iran mentre solo per il 30% l’impegno degli Usa ha permesso di far progredire la situazione tra Israeliani e Palestinesi.  
Un dato contraddittorio emerge invece rispetto alla strategia futura degli Usa: il 90% circa di esperti si esprime contro un prolungamento o un rafforzamento della presenza militare in Iraq dove, per il 70%, le truppe dovrebbero progressivamente essere ritirate per essere dispiegate, entro i prossimi 18 mesi, in Afghanistan e nel Golfo Persico, il che spiega perché solo per l’8% degli intervistati la stabilità dell’Iraq debba essere considerata una priorità.
Il principale risultato della guerra in Iraq, infatti, non è la caduta di Saddam ma l’emergere dell’Iran come nuova potenza regionale. Così, per oltre il 50% degli intervistati, mentre i tre quarti del panel si dice preoccupato per il consolidarsi della minaccia nucleare iraniana. Il giudizio sulla politica Usa rispetto a Teheran è giudicata favorevolmente solo dal 30% degli esperti,  per l’80% dei quali - il 69% tra i soli conservatori – la politica condotta dall’attuale Amministrazione nei confronti dell’Iran non favorisce la sicurezza nazionale.
Altra fonte di preoccupazione è il Pakistan che la grande maggioranza degli esperti ritiene oggi una delle principali minacce alla stabilità mondiale ed alla sicurezza Usa nel mondo. Per il 69% - 30 punti in più rispetto allo scorso anno – è, infatti, il Pakistan il più probabile fornitore di tecnologia nucleare alle organizzazioni terroristiche. Anche qui, il giudizio sulla politica statunitense verso Islamabad è negativo per oltre il 60% degli esperti.
Contrastato, invece, il giudizio sulla strategia da adottare. La grande maggioranza degli intervistati ammette, infatti, di non essere in grado di prevedere le conseguenze di un eventuale intervento militare americano.
Una versione integrale del Terrorism Index può essere consultata ondine sul sito del Centre for American Progress.





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